La Donna africana : madre e « artefice della pace »
Il primo gennaio la Chiesa celebra la Solennità di Maria, Madre di Dio, e la Giornata
Mondiale della Pace. Quest’anno le due commemorazioni avranno, per le donne africane,
un significato del tutto particolare. Esse ricoprono il duplice ruolo di «madri»,
da sempre loro attribuito, e di «artigiane della pace», immagine che solo recentemente
ha trovato conferma ufficiale, nella percezione comune della realtà locale e, a livello
internazionale, con l’attribuzione del premio Nobel per la Pace a tre donne. In
passato, il contributo femminile nel processo di stabilizzazione dei Paesi in conflitto
è stato spesso sottovalutato, a causa del pregiudizio che spinge ad associare le questioni
concernenti la guerra più che altro agli uomini. Nella maggior parte dei casi le donne
sono state invece percepite semplicemente quali «vittime passive» della violenza.
I loro sforzi per far prevalere il dialogo sulle armi sono rimasti a lungo nell’ombra,
non appoggiati né ricompensati, mentre il talento e la sensibilità umana delle donne
sta ora emergendo in tutte le dimensioni della vita della società. Dalla famiglia,
alla sensibilità intuitiva, fino alle espressioni più visibili del ‘genio’ femminile,
il ruolo delle donne è indispensabile per compiere i passi decisivi per la pace nella
dimensione locale, nazionale e internazionale.
« Con questo Premio Nobel
2011, il ruolo delle donne nei processi di pacificazione in Africa e nel mondo viene
finalmente riconosciuto. Non saremo più escluse », hanno detto le liberiane Ellen
Johnson Sirleaf e Leymah Gbowee, e la yemenita Tawwakkol Karman,
nel dedicare il premio alle donne del mondo intero : alle donne che hanno portato
il peso delle guerre, vittime di violenza, di schiavitù sessuale, alle madri che hanno
dovuto crescere da sole i figli quando, spesso, i mariti erano costretti a partire
in guerra. « Le donne non saranno più classificate come semplici vittime di
un conflitto, ma come attori decisivi nel processo di risoluzione dello stesso
».
Con due ulteriori azioni – il conferimento del "Right Livelihood Award"
(o Nobel alternativo) alla giurista ciadiana Jacqueline Moudeina, e della carica
di futuro Procuratore Generale alla Corte Penale Internazionale alla gambiana Fatou
Bensouda – la Comunità Internazionale ha dimostrato di aver preso ufficialmente
atto che in Africa le donne sono strumenti concreti di creazione del consenso. Il
compito che la società ha assegnato loro e le differenti esperienze maturate negli
anni hanno rafforzato la loro capacità di negoziazione. Le donne si preoccupano
della comunità, esprimendo i valori della solidarietà e dell’apertura all’ascolto,
e sono attive in vari contesti, dalla sanità all’educazione, all’alimentazione. Le
donne si prendono cura dell’essere umano, innanzitutto come madri. Si occupano dei
bambini, aiutandoli a crescere, del foyer domestico e della famiglia. « La
loro lotta non violenta in favore della sicurezza e del pieno diritto, per le donne,
di partecipare al processo di pace ; l’impegno silenzioso e discreto nella ricerca
e nella costruzione della pace » : queste le motivazioni alla base della scelta
di conferire loro il Nobel, ad Oslo, per l’anno 2011.
La prima donna africana
ad aver ricevuto un Premio Nobel, la keniana Wangari Mathaii, si è spenta nel
mese di ottobre in un clima di discrezione generale. Aveva guidato l’importante progetto
di rimboschimento dell’Africa (il « Movimento della cintura verde ») ed era stata
ostacolata e imprigionata a più riprese per aver difeso anche in altri contesti, ma
sempre con ardore, i diritti umani. Leymah Gbowee è una militante pacifista
; ha contribuito concretamente a mettere fine alla guerra civile che ha stravolto
la Liberia fino al 2003. Il suo impegno in favore del movimento non-violento le ha
procurato il soprannome di « guerriera della pace », sulla scena internazionale. La
gambiana Fatou Bensouda ha ricoperto il ruolo di Consigliere Giuridico e Sostituto
del Procuratore presso il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda. Jacqueline
Moudeina, avvocato, ha difeso le vittime della violenza politica operata dall’ex-Presidente
ciadiano, Hissène Habré, assumendo posizioni esplicitamente anti-governative, contro
i suoi complici, ed esponendosi in prima linea ad enormi rischi. È davvero necessario
investire maggiormente in favore delle donne : ecco l’insegnamento essenziale
che si può trarre dagli sforzi compiuti da queste donne esemplari. Esistono in Africa
cooperative femminili impegnate nel campo dell’agricoltura, del commercio, dell’educazione,
nella trasformazione dei prodotti alimentari e che fanno da “apripista” nella pratica
del micro-credito. Grazie al loro istinto materno le donne lottano continuamente,
e con successo, per la difesa della vita. Anche l’educazione sanitaria in numerosi
villaggi è oggi gestita da donne, e sono soprattutto loro a guidare i movimenti per
il cambiamento di determinate pratiche tradizionali lesive dei diritti umani. Migliaia
di organizzazioni femminili sono impegnate in politica, nelle questioni sociali, e
lavorano ogni giorno per tessere solidi rapporti di fiducia, nelle situazioni post-conflitto.
Naturalmente,
anche la Chiesa fa la sua parte, specialmente attraverso i Movimenti di Azione cattolica.
Nell’Esortazione Apostolica post-Sinodale, Africae Munus, è presente un esplicito
riconoscimento del contributo indispensabile e del talento insostituibile delle donne
in ambito familiare, nella società e nella comunità ecclesiale. I vescovi del continente
sono invitati a incoraggiare la formazione delle donne, perché esse possano partecipare
con responsabilità alla vita comunitaria, nella vita civile e nella Chiesa, contribuendo
in tal modo all’ « umanizzazione » complessiva della società.
(A cura
di Marie José Muando Buabualo, del programma francese per l’Africa).