L'"ottimismo" del Vaticano II: 50 anni fa la firma dell'"Humanae salutis" con cui
Giovanni XXIII indiceva il Concilio
Il 25 dicembre di 50 anni fa, Giovanni XXIII firmava la Costituzione apostolica Humanae
salutis con la quale veniva ufficialmente indetto il Concilio Vaticano II. Il
prossimo anno, in ottobre, la Chiesa celebrerà i 50 anni dall’apertura dei lavori,
ma già questo primo anniversario accende una nuova luce sul’importanza dell’assise
che mezzo secolo fa cambiò per sempre il volto della Chiesa universale. Fabio Colagrande
ne ha parlato con il teologo Marco Vergottini, esperto di Vaticano II:
R. – Rileggendo
l'Humanae salutis, ci imbattiamo in un testo che non va dimenticato: vi si
legge che il Concilio avrebbe cercato di contribuire alla soluzione dei problemi dell’età
moderna, della fede, quindi in rapporto alla storia di oggi, affrontando anche le
crisi che la cultura, la modernità viveva e vive. Tuttavia, è un testo sereno, è un
testo venato di ottimismo. Questo è il dato che più sorprende: un ottimismo niente
affatto ingenuo, ma accompagnato dall’invito alla Chiesa – una Chiesa che veniva dalla
Guerra mondiale, dalle ideologie del Novecento – a confidare nel futuro. Certamente,
il Concilio ha cambiato il linguaggio e Giovanni XXIII ha contribuito a cambiarlo.
Primo, l'Humanae salutis è il primo testo nel quale viene ripresa la categoria
evangelica dei “segni dei tempi”, cioè quei segni che il Signore mette di fronte come
stimolo per la Chiesa a ripensare il suo rapporto con la storia. Secondo, c’è un riferimento
agli uomini di buona volontà, a dire cioè che il messaggio del Concilio è anche a
quei fratelli e sorelle che ancora non condividono questa appartenenza al Signore.
E poi c’è un cenno, anche se implicito, a quelli che sono i profeti di sventura, coloro
i quali in qualche modo non scorgono altro che tenebre nel presente, mentre il Papa
dice: noi amiamo riaffermare la nostra incrollabile fiducia nel Divin Salvatore del
genere umano.
D. – Sul vostro sito, "vivailconcilio.it", voi pubblicate
una bella nota di mons. Capovilla, che fu segretario di Papa Giovanni XXIII, il quale
sottolinea come in questa Humanae salutis ci sia già in filigrana la finalità
del Concilio...
R. – Certo. C’è un tratto che qualifica in modo diverso,
rispetto a quelli passati, il Concilio così come l’ha voluto Giovanni XXII. E' definito
un "Concilio pastorale", cioè un Concilio che è convocato non già per reagire nei
confronti di eresie, di scismi, di errori da condannare, ma un Concilio che deve trovare
nuove forme per riuscire a proclamare la parola evangelica di sempre.
D.
– L’imminente anniversario dell’apertura del Concilio, che vivremo l’11 ottobre 2012,
ci invita a riflettere sull’attualità dei testi conciliari, sull’importanza di non
trasformare questo anniversario in una semplice rivisitazione storica...
R.
– Io credo che la Chiesa, per usare delle parole di Paolo VI – che è il grande artefice,
nocchiero del Concilio – si trovi ancora nel cono di luce del Concilio Vaticano II.
Giovanni XXIII nell'Humanae salutis parla del seme: “Questo è un piccolo seme”.
Io credo che dopo ci sia stato un albero e si tratta oggi di fare una riflessione
sui frutti che il Vaticano II ha lasciato. Il Concilio è stato una grande occasione
per la Chiesa di rinnovare se stessa e di ripensare il suo ruolo di annuncio della
fede oggi. Credo proprio che questo sia un invito a riprendere quella nuova evangelizzazione
che tanto a cuore è stata nel messaggio di Giovanni Paolo II ed è fortemente rilanciata
da parte di Benedetto XVI. (ap)