La crisi dei mercati del 2011. L'economista: ora serve uno scatto in avanti
E’ tempo di bilanci per il 2011 che sta per concludersi. Uno degli aspetti che ha
caratterizzato questo anno è stato l’acuirsi della crisi economica, alla quale i governi,
soprattutto europei, stanno cercando di rispondere con misure e manovre di vario tenore.
Giancarlo La Vella ne ha parlato con l’economista Luigi Campiglio, docente
all’Università Cattolica di Milano:
R. - È stato
certamente un anno particolarmente difficile. Nel 2011, c’è stato tuttavia qualcosa
di nuovo, e non solo di negativo, nel senso che la reazione mondiale alle cause della
crisi è stata certamente disordinata, ma c’è stata una chiara richiesta alla leadership
mondiale e nazionale di cambiare un sistema economico, che dovrebbe essere al servizio
dell’uomo e che però negli ultimi anni lo è stato poco.
D. - Si è capito
che cosa c’è all’origine delle varie crisi?
R. - Il debito pubblico
è stato anzitutto una conseguenza della crisi perché in molti casi, negli Stati Uniti,
ma anche in Europa, lo Stato è intervenuto giustamente per attutire l’effetto di uno
stop così improvviso delle attività produttive. Di sicuro, la questione del debito
è stata un problema, ma di certo manovre molto restrittive finiscono con l’essere
controproducenti, soprattutto sugli strati più deboli della popolazione, e rischiano
di accentuare la crisi anziché risolverla. Occorre uno scatto in avanti vero, genuino,
di condivisione comune dei problemi mondiali, perché davvero lo sono.
D.
- Il 2011 passa alla storia anche come l’anno dei sacrifici: si è creata in questo
modo una "scollatura" tra l’elettorato e la politica?
R. - La scollatura
c’è. Va detto che una delle questioni più delicate, importanti, ma decisive, è la
questione delle crescenti disuguaglianze che già esistevano prima della crisi, e che
in parte sono una causa della crisi, ma con le quali non si può convivere se davvero
vogliamo uscire dalla crisi. In altre parole, dobbiamo imparare a essere una comunità
di intenti intenzionalmente diretta verso un obbiettivo comune.
D. -
Il 2011 rischia di passare alla storia come quello che ha segnato l’inizio della fine
dell’euro. Alcuni Paesi che stavano per entrare nella moneta unica, sembra stiano
frenando questo processo...
R. - Questo è vero, ma il progetto europeo
è un progetto di pace nato dopo la Seconda Guerra Mondiale da uomini che hanno fatto
quella guerra. Oramai, da sessanta-settanta anni, tutte le generazioni del dopoguerra
non sono andate in guerra, salvo purtroppo, la ex Jugoslavia. Qui, la questione è
davvero centrale e bisogna capire che disfare l’euro non è così facile come metterlo
insieme: se noi abbandoniamo l’euro, le conseguenze potrebbero essere imprevedibili
sicuramente sul piano economico, ma non vorrei che venissero coinvolti altri piani
più importanti. (bi)