Washington Post: economia mondiale legata all'Europa e questa all'Italia
Alla riapertura dei mercati finanziari l’attenzione di tutto il mondo resta puntata
sull’Europa e in particolare sulla situazione italiana. Oggi un editoriale del Washington
Post sostiene che il futuro dell’economia mondiale dipende dalla capacità dell'Europa
di risolvere la questione dei debiti sovrani. A sua volta, secondo il quotidiano Usa,
il Vecchio Continente non uscirà dalla crisi se l'Italia non rimetterà in ordine i
suoi conti e se non tornerà a crescere. Intanto l’andamento dello spread con i titoli
di stato tedeschi continua ad aumentare e viaggia sopra i 500 punti, mentre si attendono
le nuove misure per la crescita annunciate dal governo Monti. In merito Eugenio
Bonanata ha intervistato l’economista Riccardo Moro:
R. - Vedo
con una certa preoccupazione il fatto che il governo abbia evidentemente lanciato
alcuni segnali, e altrettanto evidentemente su alcune partite, abbia dovuto mostrarsi
estremamente cauto; di fatto in modo più esplicito o meno esplicito, da parte del
parlamento, e di alcune forze parlamentari, sono venuti evidentemente dei segnali
negativi. Il problema è che un parlamento poco responsabile, come è stato in passato,
potrebbe fortemente indebolire la situazione del governo. Questo è ciò che temono
alcuni mercati, questo è ciò su cui stanno scommettendo alcuni speculatori che in
questo momento stanno di nuovo agendo contro l’Italia, tanto che lo spread aumenta.
Mi auguro che prevalga il senso della responsabilità, e dunque che le misure possano
essere messe in atto con efficacia.
D. – Come si fa ad evitare le pressioni
speculative in Europa come in Italia?
R. – Mostrandosi politicamente
molto coesi, molto solidali, perché l’unica condizione - assieme a delle proposte
credibili evidentemente - per ricreare delle condizioni di fiducia esattamente come
nel caso italiano, anche nel caso europeo, è che questo avvenga. E su questo anche
qui ci sono un po’ di fatiche, le gelosie della Germania e le perplessità di alcuni
Paesi, le uscite della Gran Bretagna che si chiama fuori. Un elemento molto positivo
è il fatto che, nonostante la posizione di Cameron, gli altri 26 Paesi abbiano raggiunto
un accordo: questo per il futuro è certamente un segnale di speranza. Non bisogna
assolutamente abbassare la guardia: ciò non significa che bisogna essere chissà quanto
severi, ma bisogna continuare a lavorare e a camminare insieme. Questa è la condizione
affinchè lo spazio degli speculatori si riduca e perché l’efficacia delle riforme
sia consistente.
D. – Secondo lei quali sono i punti deboli dell’Italia?
R.
– Certamente esistono degli elementi di difficoltà, come una cultura spesso negativa
presente purtroppo a tutti i livelli dell’amministrazione, ma anche dell’industria
privata, e la vita sociale. A questo corrisponde però, una forte presenza, in una
cultura molto sana, di grandi competenze e anche di consistenti rilievi etici nel
comportamento di moltissima gente.
D. – Guardiamo al Sud-America: avanza
l’economia del Brasile, il cui Pil ha superato quello della Gran Bretagna, diventando
la sesta potenza economica mondiale...
R. – Non c’è dubbio, ma questo
non è tanto clamoroso esattamente come non fu clamoroso il sorpasso della Cina nei
confronti del Giappone. Sono Paesi molto grandi. Il Brasile è un Paese estremamente
grande e molto più popoloso della Gran Bretagna. E’ assolutamente normale che il prodotto
interno lordo, che la produzione, che quanto si produce in un Paese grande come il
Brasile in un anno, sia superiore a quanto si produce in Italia, a quanto si produce
in Gran Bretagna. La preoccupazione è che il reddito medio, non tanto il reddito nazionale
complessivo in Brasile, sia ancora largamente distante da quello del Nord del mondo.
(bi)