2011-12-27 15:02:54

Allerta in Nigeria dopo i drammatici attentati di Natale contro i cristiani


Resta alta l’allerta in Nigeria dopo i sanguinosi attentati di Natale contro le chiese cristiane, che hanno provocato almeno 40 vittime. Il Papa all’Angelus ieri ha espresso la sua “profonda tristezza” per questo “assurdo gesto”, rivendicato dal gruppo estremista islamico Boko Haram. Il governo nigeriano sembra intenzionato ad organizzare un vertice speciale sulla sicurezza nazionale per l’inizio del 2012, mentre da tutto il mondo continua a giungere la ferma condanna delle azioni terroristiche. Ma qual è il contesto sociale nel quale è venuto a maturare il terrorismo della setta Boko Haram, e perché ha concentrato tutta la sua violenza sulla comunità cristiana del Paese? Stefano Leszczynski lo ha chiesto ad Anna Bono, docente di Storia dei Paesi e delle istituzioni africane, presso l’Università di Torino.RealAudioMP3

R. – L’attività di questa setta, di questo movimento, si inserisce in un contesto caratterizzato da una conflittualità endemica, con radici che affondano nella storia più remota di questo Paese: tra il Nord non soltanto islamico, ma anche abitato prevalentemente da popolazioni dedite alla pastorizia, e un Sud dedito invece all’agricoltura ed in gran parte cristiano.

D. – Si tratta di uno dei Paesi più popolosi dell’Africa. Qual è il problema del governo centrale nel controllare effettivamente la situazione?

R. – La Nigeria non è soltanto il Paese più popoloso dell’Africa – si parla ormai di circa 160 milioni di abitanti – ma è anche uno dei Paesi potenzialmente più ricchi, perché è il primo produttore di petrolio del continente. Il problema fondamentale é che questo Paese è stato per decenni in mano a dei leader che si sono avvicendati spesso con colpi di Stato. Questi leader hanno avuto ben poco a cuore le sorti del Paese e tantomeno hanno avuto interesse ad attenuare e a smorzare la conflittualità tribale in questa sua modalità di avversione anche religiosa. Questo perché, come in altri Paesi africani, la conflittualità etnica e religiosa è uno strumento che i poteri politici ed economici usano volentieri come arma nello scontro politico.

D. – Il fatto che il presidente sia un cristiano del Sud rappresenta un elemento in più in questo conflitto?

R. – Assolutamente sì. Da aprile, in effetti, la conflittualità si é intensificata e lo ha fatto con un effetto preoccupante. Mentre negli scorsi anni gli scontri, anche gravissimi e con centinaia di morti, si sono verificati prevalentemente nel Nord e nel centro, negli ultimi mesi, invece, Boko Haram ha messo a segno dei gravissimi attentati – uno addirittura alla sede delle Nazioni Unite – nella capitale Abuja. E questo non è certo un buon segno.

D. – Talvolta si ha l’impressione che i cristiani vengano visti come espressione dell’Occidente…

R. – Si tratta di contrastare delle voci e delle campagne di diffamazione e di avversione che sono molto potenti e radicate. D’altra parte, credo che sia una minoranza della popolazione quella che vede i cristiani in pericolo, perché poi le comunità cristiane – in Nigeria come in altri Stati dell’Africa e dell’Asia – sono viste come modelli di tolleranza e soprattutto come delle comunità cui ci si può rivolgere anche se non si é cristiani per avere aiuto per tutto quello che riguarda l’assistenza che, in Paesi del genere, popolati per la maggior parte da persone povere, sono fondamentali e, a volte, decisivi. (vv)







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