Allerta in Nigeria dopo i drammatici attentati di Natale contro i cristiani
Resta alta l’allerta in Nigeria dopo i sanguinosi attentati di Natale contro le chiese
cristiane, che hanno provocato almeno 40 vittime. Il Papa all’Angelus ieri ha espresso
la sua “profonda tristezza” per questo “assurdo gesto”, rivendicato dal gruppo estremista
islamico Boko Haram. Il governo nigeriano sembra intenzionato ad organizzare un vertice
speciale sulla sicurezza nazionale per l’inizio del 2012, mentre da tutto il mondo
continua a giungere la ferma condanna delle azioni terroristiche. Ma qual è il contesto
sociale nel quale è venuto a maturare il terrorismo della setta Boko Haram, e perché
ha concentrato tutta la sua violenza sulla comunità cristiana del Paese? Stefano
Leszczynski lo ha chiesto ad Anna Bono, docente di Storia dei Paesi e delle
istituzioni africane, presso l’Università di Torino.
R. – L’attività
di questa setta, di questo movimento, si inserisce in un contesto caratterizzato da
una conflittualità endemica, con radici che affondano nella storia più remota di questo
Paese: tra il Nord non soltanto islamico, ma anche abitato prevalentemente da popolazioni
dedite alla pastorizia, e un Sud dedito invece all’agricoltura ed in gran parte cristiano.
D.
– Si tratta di uno dei Paesi più popolosi dell’Africa. Qual è il problema del governo
centrale nel controllare effettivamente la situazione?
R. – La Nigeria
non è soltanto il Paese più popoloso dell’Africa – si parla ormai di circa 160 milioni
di abitanti – ma è anche uno dei Paesi potenzialmente più ricchi, perché è il primo
produttore di petrolio del continente. Il problema fondamentale é che questo Paese
è stato per decenni in mano a dei leader che si sono avvicendati spesso con colpi
di Stato. Questi leader hanno avuto ben poco a cuore le sorti del Paese e tantomeno
hanno avuto interesse ad attenuare e a smorzare la conflittualità tribale in questa
sua modalità di avversione anche religiosa. Questo perché, come in altri Paesi africani,
la conflittualità etnica e religiosa è uno strumento che i poteri politici ed economici
usano volentieri come arma nello scontro politico.
D. – Il fatto che
il presidente sia un cristiano del Sud rappresenta un elemento in più in questo conflitto?
R.
– Assolutamente sì. Da aprile, in effetti, la conflittualità si é intensificata e
lo ha fatto con un effetto preoccupante. Mentre negli scorsi anni gli scontri, anche
gravissimi e con centinaia di morti, si sono verificati prevalentemente nel Nord e
nel centro, negli ultimi mesi, invece, Boko Haram ha messo a segno dei gravissimi
attentati – uno addirittura alla sede delle Nazioni Unite – nella capitale Abuja.
E questo non è certo un buon segno.
D. – Talvolta si ha l’impressione
che i cristiani vengano visti come espressione dell’Occidente…
R. –
Si tratta di contrastare delle voci e delle campagne di diffamazione e di avversione
che sono molto potenti e radicate. D’altra parte, credo che sia una minoranza della
popolazione quella che vede i cristiani in pericolo, perché poi le comunità cristiane
– in Nigeria come in altri Stati dell’Africa e dell’Asia – sono viste come modelli
di tolleranza e soprattutto come delle comunità cui ci si può rivolgere anche se non
si é cristiani per avere aiuto per tutto quello che riguarda l’assistenza che, in
Paesi del genere, popolati per la maggior parte da persone povere, sono fondamentali
e, a volte, decisivi. (vv)