2011-12-26 14:11:25

Sette anni fa lo tsunami che sconvolse il sud est asiatico


A sette anni dallo tsunami che sconvolse i Paesi affacciati sull’Oceano Indiano, provocando oltre 220 mila morti, molte delle ferite della regione sono state curate. In molte zone la ricostruzione delle infrastrutture è andata a buon fine, così come la ricomposizione del tessuto sociale. Un forte impulso alla ripresa è arrivato dalla rete Caritas che, lavorando a stretto contatto con le Chiese locali, ha cercato fin dai primi momenti di trasformare il disastro in opportunità per aiutare le persone a ricostruire comunità più solide e più vivibili. Stefano Leszczynski ha intervistato Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale della Caritas italiana.RealAudioMP3

R. - Sicuramente la situazione è cambiata profondamente: alcuni Paesi che erano veramente in ginocchio dopo lo tsunami, in questo momento sono tra gli Stati che hanno i tassi di crescita più alti al mondo. Penso all’India, per esempio, ma anche all’Indonesia, e allo stesso Sri Lanka che è uscito da una situazione di guerra che in questo momento sta evolvendosi positivamente. Quindi il bilancio complessivo, sia della ricostruzione, sia di questi Paesi direi che è, sostanzialmente, molto positivo.

D. - L’intervento della Caritas, in quest’area, è stato particolarmente fortunato: sembra aver dato dei buoni esiti. Alta è stata anche l’attenzione internazionale su questa catastrofe…

R. - Certamente, le cose non dipendono solo da noi. Siamo parte di un tutto che è certamente molto complesso. In questo caso, in alcune nazioni è andata abbastanza bene: hanno visto una situazione stabile al proprio interno sia dal punto di vista politico complessivo che internazionale. Penso per esempio all’Indonesia, dove all’inizio c’era la situazione di Aceh con i moti di guerriglia, recessione, indipendentismo se vogliamo. Noi lavoriamo sempre affianco delle Caritas del posto, delle chiese locali. Però appunto non dipende solo da loro, dipende da tutto il complesso dei fattori.

D. - Quali sono ancora le ferite aperte nelle aree colpite?

R. - La situazione dei minori, come tutta quella di tutte le fasce più deboli della popolazione, resta un problema un po’ in tutte queste nazioni, dove nonostante gli enormi progressi, le diseguaglianze sociali ed economiche all’interno dei singoli Paesi, restano molto alte.

D. - L’esperienza dello tsunami, e soprattutto la risposta internazionale a questa catastrofe cosa ci insegna di positivo?

R. – Certamente, il far prevalere il bisogno delle persone colpite rispetto ad ogni forma di strumentalizzazione. La prima conferenza di Giacarta dei Paesi donatori e tutto il seguito che è stato dato, penso che appunto, nonostante le numerose difficoltà e passi indietro da parte di alcuni Paesi, complessivamente il trend sia stato tale da mettere prima di tutto il bisogno delle popolazioni, e in subordine tutti gli altri interessi e ogni tipo di strumentalizzazione. Questo penso debba esser in qualche modo il bagaglio che portiamo con noi anche per il futuro in altre situazioni. Penso al Corno d’Africa e alle alluvioni nella stessa Thailandia. Questo dovrà esser tenuto nelle nostre menti per lavorare bene nel futuro. (bi)







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