Sette anni fa lo tsunami che sconvolse il sud est asiatico
A sette anni dallo tsunami che sconvolse i Paesi affacciati sull’Oceano Indiano, provocando
oltre 220 mila morti, molte delle ferite della regione sono state curate. In molte
zone la ricostruzione delle infrastrutture è andata a buon fine, così come la ricomposizione
del tessuto sociale. Un forte impulso alla ripresa è arrivato dalla rete Caritas che,
lavorando a stretto contatto con le Chiese locali, ha cercato fin dai primi momenti
di trasformare il disastro in opportunità per aiutare le persone a ricostruire comunità
più solide e più vivibili. Stefano Leszczynski ha intervistato Paolo Beccegato,
responsabile dell’area internazionale della Caritas italiana.
R. - Sicuramente
la situazione è cambiata profondamente: alcuni Paesi che erano veramente in ginocchio
dopo lo tsunami, in questo momento sono tra gli Stati che hanno i tassi di crescita
più alti al mondo. Penso all’India, per esempio, ma anche all’Indonesia, e allo stesso
Sri Lanka che è uscito da una situazione di guerra che in questo momento sta evolvendosi
positivamente. Quindi il bilancio complessivo, sia della ricostruzione, sia di questi
Paesi direi che è, sostanzialmente, molto positivo.
D. - L’intervento
della Caritas, in quest’area, è stato particolarmente fortunato: sembra aver dato
dei buoni esiti. Alta è stata anche l’attenzione internazionale su questa catastrofe…
R.
- Certamente, le cose non dipendono solo da noi. Siamo parte di un tutto che è certamente
molto complesso. In questo caso, in alcune nazioni è andata abbastanza bene: hanno
visto una situazione stabile al proprio interno sia dal punto di vista politico complessivo
che internazionale. Penso per esempio all’Indonesia, dove all’inizio c’era la situazione
di Aceh con i moti di guerriglia, recessione, indipendentismo se vogliamo. Noi lavoriamo
sempre affianco delle Caritas del posto, delle chiese locali. Però appunto non dipende
solo da loro, dipende da tutto il complesso dei fattori.
D. - Quali
sono ancora le ferite aperte nelle aree colpite?
R. - La situazione
dei minori, come tutta quella di tutte le fasce più deboli della popolazione, resta
un problema un po’ in tutte queste nazioni, dove nonostante gli enormi progressi,
le diseguaglianze sociali ed economiche all’interno dei singoli Paesi, restano molto
alte.
D. - L’esperienza dello tsunami, e soprattutto la risposta internazionale
a questa catastrofe cosa ci insegna di positivo?
R. – Certamente, il
far prevalere il bisogno delle persone colpite rispetto ad ogni forma di strumentalizzazione.
La prima conferenza di Giacarta dei Paesi donatori e tutto il seguito che è stato
dato, penso che appunto, nonostante le numerose difficoltà e passi indietro da parte
di alcuni Paesi, complessivamente il trend sia stato tale da mettere prima di tutto
il bisogno delle popolazioni, e in subordine tutti gli altri interessi e ogni tipo
di strumentalizzazione. Questo penso debba esser in qualche modo il bagaglio che portiamo
con noi anche per il futuro in altre situazioni. Penso al Corno d’Africa e alle alluvioni
nella stessa Thailandia. Questo dovrà esser tenuto nelle nostre menti per lavorare
bene nel futuro. (bi)