Il governo cubano annuncia la liberazione di 2900 prigionieri
Il presidente cubano Raul Castro ha annunciato ieri che torneranno in libertà 2900
prigionieri, alcuni dei quali condannati per crimini contro la sicurezza dello Stato.
Su questo “gesto umanitario” che avviene a pochi mesi dalla visita del Papa a Cuba,
Alessandro Gisotti ha chiesto un commento al nostro collega Luis Badilla,
esperto di questioni latinoamericane:
R . – A me
sembra che si tratti di una decisione di grandissima rilevanza, umana e politica.
In parte, perché il numero delle persone cubane e straniere che dovrebbero essere
liberate è notevole: mai accaduto prima. In secondo luogo, perché la decisione del
presidente, sancita dal Parlamento – e anche questo è molto importante – risponde
ad un’esigenza, ad un bisogno che si sentiva nel popolo cubano e della quale si erano
fatti interpreti – come lo stesso Raul Castro ha riconosciuto – innanzitutto i familiari,
ma diverse Chiese tra cui la Chiesa cattolica.
D. – L’annuncio arriva
a pochi mesi dalla visita del Papa a Cuba. C’è una relazione tra questi due eventi?
R.
– Secondo me, senza dover forzare le cose, c’è un’evidente relazione. Infatti, Benedetto
XVI – che conosce molto bene Cuba - ne ha parlato in diverse occasioni, in particolare
in alcuni discorsi rivolti al Corpo diplomatico. In più di un’occasione ha fatto riferimento
a questa questione. Quindi, io ritengo che non sia arbitrario leggere questa decisione
del governo cubano come un gesto di buona volontà.
D. – Un altro dei
temi forti che si stanno discutendo a Cuba è la riforma migratoria. Di cosa si tratta
e perché è così importante?
R. – Il gesto precedente, che riguarda la
liberazione di 2.900 detenuti, va associata subito ad una misura altrettanto fondamentale
e storica: quella del cosiddetto passaporto libero. Va detto che a Cuba, da quando
è partita la rivoluzione cubana nel 1959 e fino ad oggi, non era possibile espatriare.
Erano tutti in qualche modo dentro al Paese, costretti: non avevano il passaporto.
D’ora in poi, chiunque – qualsiasi cubano che ne avrà i mezzi – potrà farlo, senza
il pericolo di non poter rientrare. Quindi, è un ulteriore passo nel cammino delle
grandi riforme che hanno molto il sapore – seppure non completo – di democratizzazione
e libertà.
D. – Qual è il ruolo della Chiesa cubana in questa fase così
delicata ma anche di rinnovata speranza?
R. – E’ un ruolo importante,
e lo si vede tutti i giorni e la stessa stampa internazionale ha saputo apprezzarlo
correttamente. Da quando il cardinale Ortega, arcivescovo dell’Avana, e mons. Dionisio
Garcia, presidente dell’episcopato cubano, hanno aperto il dialogo con il governo,
si sono ottenute moltissime cose. La Chiesa cubana, con questo dialogo, ha dimostrato
che a Cuba è possibile cambiare radicalmente le cose seduti ad un tavolo – tutti!
– parlando sinceramente e soprattutto con buona volontà. E’ il cammino della riconciliazione.
E’ quello che diceva il Beato Giovanni Paolo II, che ogni giorno che passa diventa
da profezia a realtà: che Cuba si apra al mondo, che il mondo si apra a Cuba. (gf)