2011-12-23 14:43:22

Betlemme prepara il Natale: l'amore di Gesù Bambino è più forte dei muri che dividono


Clima di grande gioia in preparazione del Natale al Caritas Baby Hospital di Betlemme che offre cure mediche, assistenza sanitaria e psicologica ai bambini affetti da malattie croniche e alle loro mamme. Al microfono di Antonella Palermo la testimonianza di suor Lucia Corradin, francescana elisabettiana che da nove anni lavora presso la struttura.RealAudioMP3

R. – Pur nella nostra realtà di essere imprigionati dal muro, da check-point, quindi da una situazione sempre critica nella zona palestinese, e quindi anche qui a Betlemme, da noi si respira un’atmosfera di gioia, di grande soddisfazione, perché in qualche modo si è realizzato un grande sogno, avvenuto l’anno scorso, con l’inaugurazione ufficiale del padiglione ambulatoriale del nuovo appartamento delle mamme, che ha la possibilità di accogliere, da 25 posti letti, 46 posti letti. Il padiglione ambulatoriale è costituito da 6 ambulatori che vedono una media di 100 bambini al giorno e da alcuni mesi abbiamo la garanzia di avere delle consulenze specialistiche.

D. – Ad un anno di distanza dall’inaugurazione che bilancio fate?

R. – Un bilancio estremamente positivo, se guardiamo appunto all’aspetto educativo, formativo per le mamme, e se guardiamo all’aspetto ambulatoriale, possiamo valutare che anche le visite stesse sono molto aumentate.

D. – Il mistero del Natale al Caritas Baby Hospital di Betlemme si vive con la sua forza dirompente ogni giorno, ogni istante…

R. – Sì, diciamo che noi abbiamo la fortuna di essere a contatto con i bambini, e quindi è un’incarnazione costante questo mistero; noi abbiamo la possibilità di vedere questa sua parte che si svela, che ci racconta, che si fa carne, e in questa sua debolezza, questo Dio che si fa uomo, che si fa fragile, con tutta la sua potenza, che è nascosta in questa debolezza. E’ proprio questo l’incanto e ci si meraviglia come quando un bambino sta bene o comincia a sorridere o a fare le prime smorfie: sono segni di una vita che non ha confini, di una vita che porta speranza, che porta luce. Questo è il significato anche etimologico di Betlemme: essere "Casa del pane", che è in grado di sfamare ogni fame – di piccoli e di grandi - come Gesù ha fatto. (ap)

Giornata particolare nella parrocchia di Beit Jala a Betlemme che ha organizzato una grande festa con i bambini del villaggio e le loro famiglie impossibilitati a partecipare alle celebrazioni del Natale, con il Patriarca latino emerito di Gerusalemme Michel Sabbah. Un Natale diverso questo per la comunità locale che vede l’espropriazione da parte di Gerusalemme di 1200 ettari di terreno coltivabile fondamentale per la vita e l’economia degli abitanti. Al microfono di Antonella Palermo sentiamo padre Ibrahim Shomali parroco di Beit Jala:RealAudioMP3

R. – Anticipiamo la Festa di Natale per i bambini che non potranno venire il 24 sera e il 25 e festeggiamo così il Natale con loro. Quello che vogliamo a trasmettere a questi bambini con questa nostra idea è che, anche se viviamo una situazione molto difficile, sia politicamente che economicamente, dobbiamo sempre mantenere la speranza, la speranza in Gesù Bambino che nasce anche per tutti questi bambini, per dar loro la pace e la serenità, almeno quella interiore.

D. – Come stanno vivendo questi giorni in famiglia?

R. – Vivono con gioia, ma vivono anche con un po’ di ansia, perché la situazione non è certo molto bella. Stiamo perdendo una parte dei nostri territori: infatti l’ultimo tratto rimasto per i cristiani, per la gente di Beit Jala, per la zona di Betlemme sarà presa per realizzare la costruzione del muro.

D. – Ci racconta anche un po’ gli antefatti di questa vicenda? Cosa è successo?

R. – Pretendendo la sicurezza, Israele vuole costruire questo muro di cui tutti sanno: il muro è ormai giunto alla nostra zona. Il nostro problema è che il muro che è stato costruito non è in realtà per la sicurezza: se fosse, infatti, per motivi di sicurezza, potrebbero costruirlo sulla “linea verde”; invece lo costruiscono sul nostro terreno, rubando 1.200 ettari, abitati da 57 famiglie, per unire due colonie ebraiche. E’ per tutto questo che i nostri sentimenti sono un po’ di rabbia e un po’ anche di mancanza di speranza per il futuro: è per questo che cerchiamo di portare un po’ di speranza a tutti i nostri bambini, così che loro possano poi dare speranza ai loro genitori, alle loro famiglie, perché i bambini sono la speranza della Chiesa! (mg)







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