Betlemme prepara il Natale: l'amore di Gesù Bambino è più forte dei muri che dividono
Clima di grande gioia in preparazione del Natale al Caritas Baby Hospital di Betlemme
che offre cure mediche, assistenza sanitaria e psicologica ai bambini affetti da malattie
croniche e alle loro mamme. Al microfono di Antonella Palermo la testimonianza
di suor Lucia Corradin, francescana elisabettiana che da nove anni lavora presso
la struttura.
R. – Pur
nella nostra realtà di essere imprigionati dal muro, da check-point, quindi da una
situazione sempre critica nella zona palestinese, e quindi anche qui a Betlemme, da
noi si respira un’atmosfera di gioia, di grande soddisfazione, perché in qualche modo
si è realizzato un grande sogno, avvenuto l’anno scorso, con l’inaugurazione ufficiale
del padiglione ambulatoriale del nuovo appartamento delle mamme, che ha la possibilità
di accogliere, da 25 posti letti, 46 posti letti. Il padiglione ambulatoriale è costituito
da 6 ambulatori che vedono una media di 100 bambini al giorno e da alcuni mesi abbiamo
la garanzia di avere delle consulenze specialistiche.
D. – Ad un anno
di distanza dall’inaugurazione che bilancio fate?
R. – Un bilancio estremamente
positivo, se guardiamo appunto all’aspetto educativo, formativo per le mamme, e se
guardiamo all’aspetto ambulatoriale, possiamo valutare che anche le visite stesse
sono molto aumentate.
D. – Il mistero del Natale al Caritas Baby Hospital
di Betlemme si vive con la sua forza dirompente ogni giorno, ogni istante…
R.
– Sì, diciamo che noi abbiamo la fortuna di essere a contatto con i bambini, e quindi
è un’incarnazione costante questo mistero; noi abbiamo la possibilità di vedere questa
sua parte che si svela, che ci racconta, che si fa carne, e in questa sua debolezza,
questo Dio che si fa uomo, che si fa fragile, con tutta la sua potenza, che è nascosta
in questa debolezza. E’ proprio questo l’incanto e ci si meraviglia come quando un
bambino sta bene o comincia a sorridere o a fare le prime smorfie: sono segni di una
vita che non ha confini, di una vita che porta speranza, che porta luce. Questo è
il significato anche etimologico di Betlemme: essere "Casa del pane", che è in grado
di sfamare ogni fame – di piccoli e di grandi - come Gesù ha fatto. (ap)
Giornata
particolare nella parrocchia di Beit Jala a Betlemme che ha organizzato una grande
festa con i bambini del villaggio e le loro famiglie impossibilitati a partecipare
alle celebrazioni del Natale, con il Patriarca latino emerito di Gerusalemme Michel
Sabbah. Un Natale diverso questo per la comunità locale che vede l’espropriazione
da parte di Gerusalemme di 1200 ettari di terreno coltivabile fondamentale per la
vita e l’economia degli abitanti. Al microfono di Antonella Palermo sentiamo
padre Ibrahim Shomali parroco di Beit Jala:
R. – Anticipiamo
la Festa di Natale per i bambini che non potranno venire il 24 sera e il 25 e festeggiamo
così il Natale con loro. Quello che vogliamo a trasmettere a questi bambini con questa
nostra idea è che, anche se viviamo una situazione molto difficile, sia politicamente
che economicamente, dobbiamo sempre mantenere la speranza, la speranza in Gesù Bambino
che nasce anche per tutti questi bambini, per dar loro la pace e la serenità, almeno
quella interiore.
D. – Come stanno vivendo questi giorni in famiglia?
R.
– Vivono con gioia, ma vivono anche con un po’ di ansia, perché la situazione non
è certo molto bella. Stiamo perdendo una parte dei nostri territori: infatti l’ultimo
tratto rimasto per i cristiani, per la gente di Beit Jala, per la zona di Betlemme
sarà presa per realizzare la costruzione del muro.
D. – Ci racconta
anche un po’ gli antefatti di questa vicenda? Cosa è successo?
R. –
Pretendendo la sicurezza, Israele vuole costruire questo muro di cui tutti sanno:
il muro è ormai giunto alla nostra zona. Il nostro problema è che il muro che è stato
costruito non è in realtà per la sicurezza: se fosse, infatti, per motivi di sicurezza,
potrebbero costruirlo sulla “linea verde”; invece lo costruiscono sul nostro terreno,
rubando 1.200 ettari, abitati da 57 famiglie, per unire due colonie ebraiche. E’ per
tutto questo che i nostri sentimenti sono un po’ di rabbia e un po’ anche di mancanza
di speranza per il futuro: è per questo che cerchiamo di portare un po’ di speranza
a tutti i nostri bambini, così che loro possano poi dare speranza ai loro genitori,
alle loro famiglie, perché i bambini sono la speranza della Chiesa! (mg)