2011-12-20 14:32:14

Siria: inasprite le pene contro la rivolta, ma la protesta non si ferma


Il presidente siriano Bashar al Assad ha promulgato una legge che prevede la "pena di morte" per chi "fornisce armi" a chi commette "atti terroristici". Intanto secondo l'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria e i Comitati di coordinamento locale degli attivisti anti-regime, sono oltre 100 le vittime, nelle ultime 24 ore, della violenta repressione governativa. Ieri Damasco ha comunque firmato il protocollo della Lega Araba che prevede l'ingresso, nel Paese, di osservatori internazionali; mentre l’Onu ha adottato una risoluzione di condanna per la violenta repressione delle manifestazioni pro-democrazia. Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi Islamici all’Università di Cosenza.RealAudioMP3

R. – L’accordo è sicuramente un passo importante, è un segnale che potrebbe avere dei risultati positivi nel medio periodo. Non credo che possa avere un effetto immediato: lo vediamo dal fatto che le manifestazioni continuano in maniera anche piuttosto sanguinosa, come del resto, parallelamente a quello che succede in Egitto, dove pure siamo arrivati addirittura ad elezioni, si profila un futuro diverso, il regime è già caduto da tempo, ma dove, di fatto, i rivoluzionari sono convinti che il regime non sia del tutto stato estirpato dal Paese e continuano la loro protesta. Non si può pensare che una piazza come quella siriana - come quella libica, quella tunisina e quella egiziana prima di essa – possa improvvisamente disinnescarsi semplicemente perché c’è questa idea di un protocollo.

D. – Comunque la Lega Araba ha avuto una parte importante?

R. – Certamente importante. Il segretario Nabil Elaraby ha descritto le procedure tecnicamente - come avverranno - di questo primo ingresso di osservatori. Quindi, si parla di un processo che già si sta avviando. E’ però piuttosto incerto nell’esito, proprio perché la piazza non ritiene che questo tipo di attenzione internazionale possa essere sufficiente. Non dimentichiamo che c’è stata anche una grossa sollevazione nella stessa Siria contro la Lega Araba, che si era messa contro il Paese, e quindi è stata vista come una sorta di tradimento. La Lega Araba non rappresenta affatto una garanzia di pacificazione, in questo momento, nella situazione siriana piuttosto effervescente e in ebollizione.

D. – I primi osservatori internazionali arriveranno entro le prossime 72 ore. Saranno gruppi composti da dieci esperti. Che cosa ci si potrà aspettare proprio nei primi momenti di questa presenza?

R. – Innanzitutto, una conoscenza più sul campo di quello che sta succedendo. In un secondo momento, credo che queste delegazioni dovranno osservare se effettivamente vengono violati, come pare ormai assodato, i diritti fondamentali di democrazia, e quindi sorvegliare, far capire che il Paese è sotto osservazione e che il governo siriano non può più procedere nella maniera in cui ha proceduto sinora, con una repressione piuttosto violenta e brutale. Più aumentano i morti – si parlava appunto di 100 morti nelle ultimissime ore – e più sarà difficile placare l’ira di questi rivoluzionari.

D. - Proprio in questo scenario, l’Assemblea generale dell’Onu ha approvato una risoluzione che condanna gli abusi contro i diritti umani commessi proprio in Siria...

R. – Sappiamo che nelle Nazioni Unite la posizione non è unanime. Indubbiamente, la risoluzione è stata approvata, ma ci sono stati dei voti contrari. Di certo sappiamo, al di là dei tecnicismi dell’Onu, che esistono dei veti in qualche modo riguardanti la Siria. Alcuni Paesi non sono affatto d’accordo con questa condanna generalizzata. Io credo che, sempre di più, nel prossimo futuro, la posizione fondamentale sarà quella di Cina e Russia e della stessa Turchia: tutti Stati che hanno la pretesa di recitare un ruolo più o meno importante a livello regionale e che vedono chiaramente nella questione siriana un elemento di strategia assolutamente non trascurabile.

D. – Da una parte gli attivisti dei diritti umani, in Siria, e la forte repressione; dall’altra Damasco, che continua a ribadire “esistono sacche di terrorismo presenti nel Paese”. In sostanza, come in Yemen, troviamo due fronti che si stanno scontrando: in piazza ci sono sostenitori di Assad e gli oppositori...

R. – Sono due questioni diverse, naturalmente: il fatto di evocare il terrorismo è una sorta di riflesso condizionato ormai e l’abbiamo visto operato anche da Gheddafi ampiamente. Per spaventare in qualche misura la comunità internazionale si sostiene che questo tipo di rivoluzioni siano in parte animate dal terrorismo islamico. L’altro punto è quello dei favorevoli al regime. Qui bisogna valutare Paese per Paese. Sicuramente in Egitto, dove pure ci sono state manifestazioni favorevoli a Mubarak, nel momento in cui la rivoluzione stava scoppiando, si è trattato di elementi sostanzialmente prezzolati, che non rappresentavano certamente una volontà popolare. La Libia è un caso analogo: coloro che hanno difeso Gheddafi lo hanno fatto non certo per motivi ideologici, ma per altri generi di schieramenti e di alleanze. In Siria forse la situazione è un poco diversa, nel senso che potrebbe, effettivamente, esserci un nocciolo duro, per quanto io credo minoritario, a questo punto, che si vuole mantenere fedele al regime e credo che per valutarlo proprio la funzione degli osservatori potrebbe essere importante: valutare cioè effettivamente se il Paese è diviso o se non si tratta invece di una rivoluzione generalizzata, alla quale il governo, rimasto abbastanza solo, vuole opporsi con la violenza più assoluta. (ap)







All the contents on this site are copyrighted ©.