2011-12-20 14:46:01

Betlemme si prepara a celebrare il Natale aspirando alla pace e alla giustizia


Ogni cristiano deve vedere rispettato il proprio diritto di recarsi a Betlemme per celebrare il Natale: lo ha affermato il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, durante una Messa celebrata a Gaza per la comunità cattolica locale. Quest’anno le autorità israeliane hanno rilasciato circa 500 permessi ai cristiani di Gaza, ma saranno esclusi quelli di età compresa tra i 16 e i 35 anni. Intanto Betlemme si sta preparando a festeggiare la Natività: in che modo? Ci risponde Charlie Abou Saada, giornalista arabo-cristiano, ideatore del sito , raggiunto telefonicamente da Emanuela Campanile proprio a Betlemme:RealAudioMP3

R. – Stiamo cercando di vivere lo spirito natalizio: abbiamo avuto nei giorni scorsi diverse feste nelle varie città, nei villaggi e nelle varie parrocchie, come la cerimonia dell’illuminazione degli alberi di Natale alla quale hanno partecipato anche tanti musulmani e diversi politici palestinesi. Il messaggio di queste occasioni bellissime in questi giorni è uno ed è unico: pace, giustizia e Stato palestinese. Abbiamo il diritto di avere uno Stato palestinese libero e vogliamo buttare giù il "muro" per potere iniziare una nuova era di pace e di dialogo con i nostri vicini di casa, gli israeliani.

D. – Quali sono i luoghi dove matura una vera educazione alla pace e alla giustizia?

R. – Sicuramente nella famiglia, perché tutt’oggi, in Medio Oriente, la famiglia ha un grande valore all’interno della società; e poi la scuola. Ed ecco perchè dobbiamo fare di più per le nostre scuole, soprattutto cristiane. Quindi dobbiamo riuscire a far maturare tutti questi valori all’interno della famiglia, nelle scuole e nelle chiese: magari anche nelle moschee e nelle sinagoghe; dobbiamo soprattutto comprendere come trasmettere tutti questi valori ai nostri vicini.

D. – Lei fa spesso riferimento alle pressioni che quotidianamente il popolo palestinese subisce a causa degli insediamenti: ma che tipo di pressioni sono? Come vivete?

R. – Vorrei ricordare che noi palestinesi, cristiani e musulmani, viviamo sotto occupazione militare, ma anche sotto occupazione economica israeliana. Noi viviamo nei nuovi ghetti, i ghetti del terzo millennio: io vivo a Betlemme e non posso muovermi; non posso andare da Betlemme a Gerusalemme senza il controllo dell’esercito israeliano. La vita economica è legata anche alla mentalità dell’occupante e quindi siamo costretti a comprare tutto da Israele: è molto difficile comprare merci dalla Giordania o da altri Paesi arabi. Finché ci sarà l’occupazione non ci sarà né pace né giustizia.

D. – Alcuni Paesi nel mondo hanno riconosciuto e riconoscono lo Stato palestinese: di fronte a questa accettazione, Hamas ha anche stemperato i propri toni, i propri atteggiamenti?

R. – Speriamo che un giorno lo faccia! Vorrei ricordarvi che, nell’87-’88, Arafat, come popolo palestinese, ha riconosciuto Israele come Stato. Il problema è che ci sono sempre più pressioni. Viviamo sotto occupazione: io non posso muovermi, non sono certo del futuro dei miei bambini e dei miei ragazzi… Quindi Israele non dà le possibilità ad Hamas di riconoscere lo Stato di Israele a causa delle pressioni quotidiane che viviamo. (mg)







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