Betlemme si prepara a celebrare il Natale aspirando alla pace e alla giustizia
Ogni cristiano deve vedere rispettato il proprio diritto di recarsi a Betlemme per
celebrare il Natale: lo ha affermato il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal,
durante una Messa celebrata a Gaza per la comunità cattolica locale. Quest’anno le
autorità israeliane hanno rilasciato circa 500 permessi ai cristiani di Gaza, ma saranno
esclusi quelli di età compresa tra i 16 e i 35 anni. Intanto Betlemme si sta preparando
a festeggiare la Natività: in che modo? Ci risponde Charlie Abou Saada, giornalista
arabo-cristiano, ideatore del sito , raggiunto telefonicamente da Emanuela Campanile
proprio a Betlemme:
R. – Stiamo
cercando di vivere lo spirito natalizio: abbiamo avuto nei giorni scorsi diverse feste
nelle varie città, nei villaggi e nelle varie parrocchie, come la cerimonia dell’illuminazione
degli alberi di Natale alla quale hanno partecipato anche tanti musulmani e
diversi politici palestinesi. Il messaggio di queste occasioni bellissime in questi
giorni è uno ed è unico: pace, giustizia e Stato palestinese. Abbiamo il diritto di
avere uno Stato palestinese libero e vogliamo buttare giù il "muro" per potere iniziare
una nuova era di pace e di dialogo con i nostri vicini di casa, gli israeliani.
D.
– Quali sono i luoghi dove matura una vera educazione alla pace e alla giustizia?
R.
– Sicuramente nella famiglia, perché tutt’oggi, in Medio Oriente, la famiglia ha un
grande valore all’interno della società; e poi la scuola. Ed ecco perchè dobbiamo
fare di più per le nostre scuole, soprattutto cristiane. Quindi dobbiamo riuscire
a far maturare tutti questi valori all’interno della famiglia, nelle scuole e nelle
chiese: magari anche nelle moschee e nelle sinagoghe; dobbiamo soprattutto comprendere
come trasmettere tutti questi valori ai nostri vicini.
D. – Lei fa
spesso riferimento alle pressioni che quotidianamente il popolo palestinese subisce
a causa degli insediamenti: ma che tipo di pressioni sono? Come vivete?
R.
– Vorrei ricordare che noi palestinesi, cristiani e musulmani, viviamo sotto occupazione
militare, ma anche sotto occupazione economica israeliana. Noi viviamo nei nuovi ghetti,
i ghetti del terzo millennio: io vivo a Betlemme e non posso muovermi; non posso andare
da Betlemme a Gerusalemme senza il controllo dell’esercito israeliano. La vita economica
è legata anche alla mentalità dell’occupante e quindi siamo costretti a comprare tutto
da Israele: è molto difficile comprare merci dalla Giordania o da altri Paesi arabi.
Finché ci sarà l’occupazione non ci sarà né pace né giustizia.
D. –
Alcuni Paesi nel mondo hanno riconosciuto e riconoscono lo Stato palestinese: di fronte
a questa accettazione, Hamas ha anche stemperato i propri toni, i propri atteggiamenti?
R.
– Speriamo che un giorno lo faccia! Vorrei ricordarvi che, nell’87-’88, Arafat, come
popolo palestinese, ha riconosciuto Israele come Stato. Il problema è che ci sono
sempre più pressioni. Viviamo sotto occupazione: io non posso muovermi, non sono certo
del futuro dei miei bambini e dei miei ragazzi… Quindi Israele non dà le possibilità
ad Hamas di riconoscere lo Stato di Israele a causa delle pressioni quotidiane che
viviamo. (mg)