2011-12-15 14:59:04

Siria: 27 militari morti in scontri con i disertori


Sulla questione siriana interviene direttamente anche l'Iraq, con il suo premier Al Maliki che ha annunciato l’invio di una delegazione a Damasco per mediare una soluzione alla crisi, dopo 10 mesi di proteste represse nel sangue dalle autorità siriane, con un bilancio - secondo l’Onu - di oltre 5000 vittime. Sul terreno, ancora scontri nella provincia meridionale di Daraa, dove almeno 27 membri dell'esercito e delle forze di sicurezza sono stati uccisi nel corso di combattimenti con gruppi di disertori. Sul significato della missione di Baghdad, Giada Aquilino ha intervistato Laura Guazzone, docente di Storia contemporanea dei Paesi Arabi all’Università La Sapienza di Roma:RealAudioMP3

R. - C’è un estremo bisogno di mediazioni in questo momento, in cui la crisi siriana sta entrando forse non nella sua ultima fase, ma senz’altro nella fase sin qui più pericolosa. E’ estremamente importante uno sforzo di mediazione internazionale, che non miri, però, soltanto a sostenere l’opposizione nella rimozione del regime, ma che possa dare garanzie al regime stesso per evitare uno scontro finale e un bagno di sangue. In questo momento l’Iraq è sempre più legato nelle sue scelte di politica estera più che agli Stati Uniti all’Iran, che nella competizione internazionale sta pesando sempre di più sulla crisi interna siriana, ed è in una posizione di contrapposizione - in alleanza con il movimento-partito degli Hezbollah in Libano - con altri grandi leader regionali, quali la Turchia e l’Arabia Saudita.

D. - Il Consiglio nazionale siriano, che raggruppa le principali forze di opposizione ad Assad, si riunisce a Tunisi per il suo primo congresso. Che potere ha, di fatto, in Siria?

R. - Diciamo che nel corso della rivolta, che ormai - come sappiamo - dura dal marzo del 2011, si è andato progressivamente consolidando il rapporto fra le opposizioni in esilio, i capi e i partecipanti della rivolta all’interno del Paese. Ciononostante il Consiglio nazionale siriano è solo il più importante dei raggruppamenti dell’opposizione all’estero; è il più rappresentativo e riconosciuto dai principali Paesi occidentali o dai Paesi arabi, ma è solo uno. Dunque il rapporto è dunque buono e solido, ma non c’è una completa – diciamo - legittimità e rappresentanza politica da parte di questo consiglio rispetto alle componenti dell’opposizione siriana interna.

D. - Lei ha parlato di una fase importante della crisi, cosa si può prevedere per le prossime settimane?

R. - In qualche modo quella che era una delle preoccupazioni della Comunità internazionale, quella cioè di creare ai confini del territorio siriano delle aree protette dove la popolazione civile potesse trovare rifugio, dei corridoi umanitari, si sta di fatto realizzando in diversi governatorati siriani attraverso la lotta armata, sostenuta soprattutto dai disertori dell’esercito siriano, che si sono autodenominati “Esercito della Siria Libera”: sia al nord che al sud esistono ormai delle aree che sono sfuggite, anche se non totalmente, al controllo delle forze di sicurezza del regime. Nonostante il costo di violenza e dunque di vite umane che comporta, questo potrebbe essere - ma bisogna ovviamente essere molto cauti - uno sviluppo positivo, perché dall’interno di questi territori – se non liberati, comunque in mano all’opposizione - potrebbe partire una possibilità di trattativa fra opposizione e regime, quella che finora Bashar al-Assad ha rifiutato. (fd)







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