Cresce la contestazione sociale nei Paesi della Primavera araba
A poco meno di un anno dall’inizio delle prime proteste, sfociate poi nella 'primavera
araba', i Paesi del Nordafrica coinvolti, in particolare Egitto e Tunisia, si stanno
avviando verso una stabilizzazione. Per i nuovi governi del Maghreb tuttavia, restano
da affrontare molte sfide, a partire da quella dell’economia. Lo sottolinea, nell’intervista
di Davide Maggiore, Maria Cristina Paciello, ricercatrice dell’Istituto
Affari Internazionali:
R. – Potremmo
dire che la situazione socioeconomica è andata peggiorando. Non ci sono al momento
ancora dati attendibili sulla disoccupazione giovanile ma tantissime altre informazioni
ci fanno pensare che ci sia stato un aumento e le attività economiche hanno subito
un rallentamento, non soltanto il settore turistico. Questo naturalmente potrebbe
creare grandi problemi anche poi per la direzione che prenderà il cambiamento politico.
D.
– Il disagio sociale quindi sopravvive anche a distanza di un anno?
R.
– E’ peggiorato e questo è visibile anche semplicemente osservando quanto sta succedendo.
La contestazione sociale è in crescita, gli scioperi continuano a caratterizzare la
quotidianità di questi Paesi e non soltanto Tunisia ed Egitto ma anche l’Algeria è
segnata, soprattutto in questi ultimi mesi, da un aumento della contestazione sociale.
D.
- I giovani sono stati tra i grandi protagonisti della 'primavera araba': quali sono
oggi le loro prospettive?
R. – Uno dei principali risultati della 'primavera
araba' è questa esplosione della società civile, soprattutto dei giovani. Assistiamo
alla nascita di numerosi sindacati, soprattutto in Egitto ma anche in Tunisia. Quindi
da questo punto di vista i giovani da una parte hanno sicuramente un maggior margine
di manovra rispetto alla situazione che vivevano prima ma dall’altra la loro capacità
di influenzare i processi decisionali rimane ancora molto limitata.
D.
– Cosa si può dire invece del ruolo delle donne, soprattutto nei Paesi che hanno avuto
i movimenti più vitali come Tunisia ed Egitto?
R. – Sappiamo che le
donne hanno svolto un ruolo molto importante nelle proteste di gennaio e di febbraio
e sicuramente il caso tunisino è molto più promettente perché in questa fase di transizione
le donne hanno svolto un ruolo importante anche per quanto riguarda l’impatto sui
processi decisionali. La loro presenza è stata sicuramente importante per far approvare
le 'quote rosa' da inserire nelle liste elettorali. Nel caso dell’Egitto purtroppo
la situazione per le donne è in qualche modo peggiorata nella misura in cui le donne
non sono state assolutamente coinvolte nei processi decisionali. In nessuna fase,
da gennaio in poi, il rischio che le donne vengano in qualche modo estromesse da questo
processo di transizione c’è per entrambi i Paesi ma se guardiamo alla società civile
e al forte attivismo è possibile che ci sia una pressione dal basso che possa eventualmente
influenzare, in una direzione più favorevole per le donne, il processo di transizione.
(bf)