Raid anti-rom a Torino. L'arcivescovo Nosiglia: è solo la punta di un iceberg, è emergenza
educativa
Torino sotto shock per il rogo anti rom di sabato scorso seguito alla falsa denuncia
di stupro da parte di una minorenne. In una lettera quest’ultima, che aveva accusato
due esponenti della comunità rom, chiede “scusa a tutti e soprattutto ai bambini del
campo”. “Chiedo scusa a tutta la gente del quartiere - si legge – per la rabbia che
ha suscitato la mia bugia. Vorrei soltanto poter dimenticare”. Sulla vicenda è intervenuta
il ministro dell’Interno Cancellieri: «Nulla può giustificare la violenza», ha detto.
Arrestati due uomini di 52 e 20 anni. Intanto le indagini proseguono nell’ambiente
della tifoseria ultrà della Juventus. “Umiliato e ferito” si è detto l’arcivescovo
di Torino, mons. Cesare Nosiglia. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. – E’ un
fatto d’intolleranza violenta, razzista, che non si può assolutamente giustificare:
anzi si deve condannare nel modo più assoluto! Ho parlato, dal mio punto di vista,
proprio di una mancanza di legalità, di spirito di accoglienza, di solidarietà. Io
credo che sia solo la punta di un iceberg di una situazione sociale dove l’aggressività
diventa sempre di più il comportamento anche nei rapporti quotidiani. Bisogna veramente
far rinascere nella coscienza i valori etici, morali, di spiritualità che sono propri
della nostra tradizione cristiana e quindi il senso del rispetto, dell’accoglienza.
Occorre poi dire che Torino non è affatto razzista. Ma al di là di questo, i parroci
mi dicono che anche negli stessi oratori nella periferia della città, ci sono bande
di ragazze che entrano e sfasciano; ci sono anche situazioni in cui qualche disabile
viene fermato per strada, viene dileggiato… Su chi è più debole, su chi è più in
difficoltà si rovescia questa aggressività.
D. – Quindi anche questo
fatto porta in primo piano il tema dell’emergenza educativa?
R. – Esatto.
E’ proprio questo che volevo sottolineare: la scelta della Cei è una scelta che si
rivela sempre più necessaria e fondamentale. Se ciascuno si assume le proprie responsabilità,
dalla famiglia alla Chiesa, alla scuola, alle istituzioni, quella che il Papa chiama
“alleanza educativa”, un patto di corresponsabilità educativa, per cui insieme si
crea una rete che sostiene poi i comportamenti buoni.
D. – Nel caso
che stiamo prendendo in esame - e purtroppo non solo in questo caso – l’odio verso
i rom è stato un po’ un parafulmine per una rabbia e un disagio sociale che evidentemente
non riesce a trovare altro canale espressivo…
R. – Sì, esatto. Questo,
che colpisce e che è vero, che è verissimo, deve essere come la spia rossa della macchina
quando ti accorgi che manca la benzina… Non si vuole togliere la colpa a queste persone
- per carità – perché ce l’hanno eccome, ma bisogna anche – secondo me – stare vicino
alla famiglia ed aiutare questa ragazzina: anche lei deve essere accompagnata, sostenuta.
Non si può solo condannare. Al di là di tutto questo, c’è proprio l’impegno di vedere
in questa situazione un qualcosa che riguarda un disagio sociale e un’aggressività
– ripeto – che sta crescendo…
D. – Nel caso specifico, mons. Nosiglia,
crede che potrebbe esserci una vendetta da parte di chi ha subito questa violenza,
da parte cioè della comunità rom?
R. No, no, no… Io credo assolutamente
di no, perché io sono stato dai rom e questi purtroppo sono abituati ad essere messi
in queste condizioni… Al di là di questo c’è anche la volontà se aiutati, se sostenuti
di percorrere strade diverse. Io insisto che bisogna aiutarli, sostenerli in questo
momento e c’è bisogno che anch'essi facciano la loro parte, assumendo con responsabilità
l’impegno di vivere in una società molta diversa dalla loro cultura, che può essere
capace anche di integrarli. (mg)