Vertice Ue: accordo senza la Gran Bretagna per nuove regole sui bilanci nazionali
Il vertice Ue si conclude con l'accordo che vincolerà i governi a mantenere bilanci
più sani di quelli che hanno portato il continente sull'orlo del baratro. Hanno aderito
tutti i Paesi dell'euro e sembra proprio che ci sia la seria disponibilità di altri
9. La Gran Bretagna invece ribadisce il suo no. Profonda frattura tra Francia e Gran
Bretagna. Il servizio di Stefano Leszczynski.
Gran Bretagna
isolata dopo che il premier David Cameron, per evitare in patria la rivolta degli
euro-scettici, ha bloccato la modifica del trattato Ue, nel vertice di Bruxelles pensato
proprio per salvare l'eurozona. Dopo 11 ore di negoziati notturni infine l’accordo
si è trovato, ma senza il sostegno di Londra, la scelta è caduta su un semplice accordo
intergovernativo tra i 17 Paesi della zona Euro più 6 ''volontari'', e cioè Bulgaria,
Danimarca, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania, ai quali però sembra proprio che
vogliano unirsi gli altri tre Paesi membri. E dunque sarebbero tutti i Paesi ad eccezione
di Londra. Punti centrali dell’intesa l’unione fiscale, la riforma del fondo
salva Stati e i nuovi fondi all'Fmi. Le nuove regole sui budget saranno scritte
nelle costituzioni nazionali. Il "deficit strutturale" viene limitato allo 0,5% del
Pil e chi sfora subirà sanzioni automatiche.Il fondo di salvataggio
entrerà in vigore dal luglio 2012 e la dotazione salirà a 500 miliardi di euro, come
richiesto espressamente da Berlino. Profonda la frattura tra Francia e Gran
Bretagna con il presidente Sarkozy che ha annunciato la nascita di un’Europa a due
velocità per colpa dell’arroccamento di Londra in difesa dei propri interessi nazionali.
Soddisfatta la cancelliera Angela Merkel, che parla di recupero della credibilità
dell’euro grazie al patto sull’unione fiscale, mentre il presidente del Consiglio
europeo, Herman Van Rompuy, allarga le braccia e sottolinea l’assenza di un vincolo
giuridico nel patto firmato dai Paesi dell’area euro. Intanto, i leader dei 17 Paesi
dell'Eurozona più gli altri si riuniranno in gennaio a Bruxelles per mettere a punto
l'intesa.
E sui motivi delle profonde diversità emerse sinora a Bruxelles
tra i 27, Giancarlo La Vella ha intervistato l’economista Gianfranco Viesti,
docente all’Università di Bari:
R. - Diciamocelo
francamente: nessuno dei grandi Paesi europei riesce ad avere una visione che possa
andar bene a tutti gli altri, una proposta cioè per andare avanti tutti insieme. Ognuno
ha le sue priorità: la Germania è molto attenta alla sua politica interna, per cui
mostra timidezza e difficoltà nel fare qualsiasi passo avanti. I britannici dal canto
loro, rispolverano tutte le loro freddezze nei confronti dell’Europa. Sembra che,
a causa della crisi, i governi siano sempre più orientati a soddisfare obiettivi di
breve periodo e, quando si soddisfano gli obiettivi di breve periodo, si mette avanti
a tutto l’esito per il proprio Paese e non l’obiettivo comune.
D. -
Secondo lei, si fa sempre più concreto lo spauracchio di un’Europa a due velocità’?
R.
- Le diverse velocità possono non essere un problema. Anche l’Europa monetaria è un’Europa
a due velocità, perché abbiamo 17 Paesi con l’Euro e altri 10 che non ce l’hanno.
Il punto è come stanno insieme questi due pezzi d’Europa. La flessibilità può essere
un elemento positivo, naturalmente bisogna capire che cosa distingue quelli che vanno
a una velocità, da quelli che vanno ad un’altra velocità: se vanno in direzioni opposte
è un conto, se vanno comunque verso un obiettivo comune è naturalmente molto più positivo.
D. - Secondo alcuni osservatori questi sarebbero i prodromi di un’imminente
fine della moneta unica… R. - Conviene accompagnare questa ipotesi
sempre con la considerazione del fatto per cui non è che domani mattina andiamo in
banca, cambiamo gli euro e ci ridanno le lire. E’ invece un’ipotesi catastrofica,
nel senso che la rottura dell’euro può avere delle conseguenze sull’economia europea
pari a quelle di una guerra: non si tratta di fare un passettino indietro, si tratta
di scivolare indietro fino agli anni ‘50. Quindi, tutto è possibile in questo periodo.
Teniamo, però, i nervi saldi perché un conto è discutere di come si va avanti, un
conto è dire: “Liberi tutti e torniamo ad un’Europa che non conosciamo più da tempo”.
D.
- Perché si registrano difficoltà anche per un accordo sulla revisione dei trattati
comunitari?
R. - Le difficoltà nascono innanzitutto da una considerazione:
siamo in presenza di un’Unione di 27 Paesi, cosa unica al mondo. Dunque, bisogna
avere un po’ più di pazienza nei confronti della costruzione europea, perché ha bisogno
di consenso. Dunque le diffidenze verso questa necessità di mettersi d’accordo, di
concordare, sono un po’ eccessive, perché stiamo mettendo insieme 27 Paesi sovrani!
Le difficoltà nascono anche dal merito delle scelte. Non dimentichiamoci mai che tutte
le nostre difficoltà vengono da una crisi finanziaria internazionale di cui non siamo
responsabili, che però ci sta costringendo a cambiare le nostre vite in maniera sostanziale,
speriamo solo per un breve periodo di tempo. Allora, trovare le medicine per guarire
questa malattia non è così ovvio, ma ci vuole un po’ di volontà politica. Se non c’è
questa volontà politica, è chiaro che la mera discussione tecnica non può portare
lontano. (bi)