Seconda predica d'Avvento. Padre Cantalamessa: chi prega senza parlare evangelizza
meglio di chi parla senza pregare
Un’evangelizzazione efficace si ha quando si fa discendere l’azione apostolica dalla
preghiera profonda. Lo ha affermato padre Raniero Cantalamessa nella sua seconda predica
d’Avvento, tenuta questa mattina in Vaticano davanti al Papa e alla Curia Romana.
Il predicatore pontificio ha ripercorso l’epoca della Chiesa al tempo delle invasioni
barbariche e dei grandi monaci che evangelizzarono la nuova Europa. Il “grande deserto”,
ha detto, “sono oggi le grandi città secolarizzate”. Il servizio di Alessandro
De Carolis:
È il 476
dopo Cristo quando le certezze vanno in frantumi. L’impero romano è crollato e i suoi
territori preda delle popolazioni barbare. Smarrita e travolta dagli eventi, la Chiesa
deve prendere una decisione: come gestire la nuova situazione? Padre Cantalamessa
parte da questo scenario per parlare di quella seconda ondata evangelizzatrice che,
non senza fatica, verrà lanciata all’alba del Medioevo dai Papi e da una serie di
grandi figure di Santi dell’epoca. Quando nel 410 i Goti mettono a sacco Roma per
tanti, come S. Girolamo, sembra arrivata la fine del mondo. Invece, ha spiegato il
predicatore pontificio, si tratta “solo della fine di un mondo”. Superato lo
smarrimento, da “minaccia” i barbari cominciano ad apparire ai cristiani “un vasto
campo di missione”. Ma evangelizzarli farà emergere aspetti nuovi rispetto a quelli
del mondo greco-romano:
“Lì, il cristianesimo aveva davanti a sé un
mondo colto, organizzato, con ordinamenti, leggi, dei linguaggi comuni; aveva, insomma,
una cultura con cui dialogare e con cui confrontarsi. Ora si trova a dover fare, nello
stesso tempo, opera di civilizzazione e di evangelizzazione; deve insegnare a leggere
e scrivere, mentre insegna la dottrina cristiana. L’inculturazione si presentava sotto
una forma del tutto nuova”.
È in’inculturazione alla quale prestano
ingegno, coraggio e ansia apostolica “grandi figure di monaci”. Il loro è uno spirito
avventuroso, “paolino”, fatto di viaggi in lande mai toccate dal Vangelo. San Benedetto,
San Columba, i Santi Cirillo e Metodio portano l’Europa a ricoprirsi di monasteri.
E quella stagione, ha detto tirando le somme padre Cantalamessa, presenta “una certa
analogia” con la situazione attuale:
“Allora il movimento di popoli
era da Est a Ovest, ora esso è da Sud a Nord. La Chiesa, con il suo magistero, ha
fatto, anche in questo caso, la sua scelta di campo che è di apertura al nuovo e di
accoglienza dei nuovi popoli. La differenza è che oggi non arrivano in Europa popoli
pagani o eretici cristiani, ma spesso popoli in possesso di una loro religione ben
costituita e cosciente di se stessa. Il fatto nuovo è dunque il dialogo che non si
oppone all’evangelizzazione, ma ne determina lo stile”.
Ma c’è una cosa,
per il predicatore francescano, che l’epoca dell’Europa invasa dai barbari insegna
alla nostra, ovvero “l’importanza della vita contemplativa in vista dell’evangelizzazione”,
come dimostrano le numerose esperienze nate anche in tempi moderni, dalla Comunità
di Taizé a quella di Bose:
“Non basta, in altre parole, la preghiera
‘per i’ missionari, occorre la preghiera ‘dei’ missionari. I grandi monaci che rievangelizzarono
l’Europa dopo le invasioni barbariche erano uomini usciti dal silenzio della contemplazione
e che vi rientravano appena le circostanze lo permettevano loro (...) Di questo abbiamo
un esempio ben più autorevole dei Santi. La giornata di Gesù era un intreccio mirabile
tra preghiera e predicazione”.
Un intreccio che oggi è però in pericolo
nella Chiesa, esposto com’è – ha osservato padre Cantalamessa – da una parte al pericolo
dell’“inerzia” di chi non fa nulla e, dall’altro, a quello di “un attivismo febbrile
e vuoto”, di chi dimentica il “contatto con la sorgente della parola”. E alla frequente
obiezione per cui non è possibile “starsene tranquilli a pregare” quando “la casa
brucia”, il predicatore replica così:
“E' vero, ma immaginiamo cosa
succederebbe a una squadra di pompieri che accorresse a sirene spiegate a spegnere
un incendio e poi, una volta sul posto, si accorgesse di non avere con sé, nei serbatoi,
neppure una goccia d'acqua. Così siamo noi, quando corriamo a predicare senza pregare.
Fa più evangelizzazione chi prega senza parlare che chi parla senza pregare”.
E
chi è – ha concluso – il modello perfetto di chi porta Cristo? Certamente Maria:
“Ella
portava la Parola nel seno, non sulla bocca. Era piena, anche fisicamente, di Cristo
e lo irradiava con la sua sola presenza. Gesù le usciva dagli occhi, dal volto, da
tutta la persona. Quando uno si profuma, non ha bisogno di dirlo, basta stargli vicino
per accorgersene e Maria, specie nel tempo in cui lo portava in seno, era piena del
profumo di Cristo”.