Lussemburgo: chiuso l'incontro del Consiglio d'Europa su religioni, dialogo e culture
Prosegue la conferenza sulla “dimensione religiosa del dialogo interculturale” voluta
dal Consiglio d'Europa, che ha riunito ieri e oggi a Lussemburgo esponenti di diverse
religioni insieme con esperti di scambi culturali e rappresentanti di media. La nostra
inviata, Fausta Speranza,ha parlato con padre Laurent Mazas,
delegato del Pontificio Consiglio per la Cultura alla cConferenza, circa il cammino
che ha portato a una consapevolezza nuova dell'importanza delle religioni per il dialogo:
R. – Sì,
questo è un lungo processo. Mi ricordo quando ho cominciato ad andare al Consiglio
d’Europa, al Comitato del Direttivo della cultura, per la Santa Sede, e si parlava
dell’urgenza del dialogo interculturale, interreligioso, della pace a rischio e così
via. Dopo, abbiamo seguito un cammino per far capire che i religiosi possono nella
società dialogare tra di loro, proprio per aiutare la società stessa a essere più
giusta, nella pace e nella fratellanza. Un lungo processo, dunque, e adesso questo
tipo di tavola rotonda manifesta la presa di coscienza che la religione non è una
cosa a parte nella società, ma aiuta a sviluppare la coscienza del diritto, dei diritti
umani e così via.
D. – In particolare, in questo momento, il dicastero
per la cultura è impegnato con il cardinale Gianfranco Ravasi nel Cortile dei Gentili.
Come si può inserire o, comunque, come possiamo riflettere su questa esperienza, alla
luce della dimensione religiosa del dialogo interculturale?
R. – Noi
vogliamo nel Cortile dei Gentili – contrariamente per esempio a quello che succede
nei Paesi laici come la Francia, dove ognuno tace le sue convinzioni – che l’ateo
sia veramente un ateo quando discute con un credente, che deve invece esserlo molto,
e che il confronto fra questi due discorsi sia concepito in modo che tutti si incontrino,
si prendano per la mano per affrontare le grandi sfide di oggi.
D. –
C’è stato un momento in cui, in Europa, abbiamo sentito parlare molto di questo sforzo
alla neutralità, sembrava anzi si potesse parlare solo mettendo da parte le questioni
religiose. Invece, se non si ha identità, non si può parlare davvero con l’altro.
Questo sta maturando anche nella coscienza generale?
R. – Sicuramente,
oggi c’è la presa di coscienza che quando si incontra l’altro, si scopre l’altro nella
sua ricchezza e se non siamo capaci di riconoscere una ricchezza non c’è un incontro
con l’altro. Se noi cerchiamo soltanto il simile nell’altro, questo non fa crescere
la pace.
D. – Uno slogan del Consiglio d’Europa è "Vivere insieme nella
diversità“. Dal punto di vista della Chiesa cattolica, come proporremmo questo slogan?
R.
– Nella creazione ci sono Adamo ed Eva: fin dall’inizio, quindi, esiste la diversità.
Poi, subentra l’amore, che è capace di unire la gente nella diversità.
D.
– E’ questo dunque, l'amore, il di più che la religione cattolica porta in questo
discorso di vivere insieme nella diversità?
R. – L’amore e, profondamente,
la questione del rispetto. Per esempio in questa tavola rotonda si parla del lavoro
dei media ed è vero che si parla sempre della libertà di espressione. Se non c’è il
rispetto dell’altro, dove andiamo? Si pensa non possa essere una cosa assoluta, invece
lo è, perchè nell’altro c’è qualcosa che ci supera, una dimensione trascendente. Qualcuno
qui ha parlato della presa di coscienza della responsabilità del giornalista. (ap)