Naufragio nel Brindisino, proseguono le ricerche dei dispersi. Commenti di mons. Perego
e Natale Forlani
Non si interrompono le ricerche in mare nel Brindisino, a Carovigno, di eventuali
dispersi a 48 ore dal naufragio di una barca a vela con a bordo una settantina di
persone, abbandonata dagli scafisti nei pressi della costa. Tre i morti accertati,
43 i migranti soccorsi tutti di origine asiatica. All'appello mancherebbero dunque
circa 30 persone. Il ministro per l'integrazione, Andrea Riccardi, ha ribadito che
''le notizie sui Paesi di provenienza di questi profughi forse motiveranno il diritto
di asilo o la protezione speciale o l'accoglienza per motivi umanitari”. Mons.
Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, ribadisce che “bisogna
rivedere le quote d’ingresso”. Ma è tornata in auge la rotta migratoria dall'Oriente?
Alessandro Guarasci lo ha chiesto allo stesso mons. Perego:
R. - E’ tornata
in auge nel senso che non era mai cessato il flusso degli sbarchi anche sulle coste
pugliesi. Negli ultimi nove mesi, però, l’attenzione era concentrata soprattutto agli
sbarchi - più numerosi - che partivano dal Nord Africa e si dirigevano verso la Sicilia.
Diciamo quindi che questa rotta era già stata battuta in precedenza, ed era una delle
rotte sia del traffico degli esseri umani, sia dall’Asia. E’ chiaro, però, che in
questo preciso momento in cui il porto di Lampedusa è stato chiuso perché insicuro,
alcune delle navi possono direttamente direzionarsi verso la Puglia e quindi potremmo
assistere anche ad un aumento di sbarchi che si dirigono in modo particolare verso
le coste pugliesi.
D. - Finora il solo strumento offerto dalla politica
è stato quello dei pattugliamenti. Oltre a questo cosa bisogna fare?
R.
- I pattugliamenti sono strumenti di semplice difesa di un confine, ma non risolvono
i problemi degli arrivi. Credo che occorra lavorare maggiormente per creare sia dei
canali protetti - soprattutto in questa stagione, con la situazione del mare che non
è sempre così favorevole - perché alcuni arrivi, soprattutto quelli dei rifugiati
e dei richiedenti asilo, siano arrivi accompagnati. Un secondo lavoro andrebbe fatto
certamente nell’ottica della cooperazione internazionale, che in questi ultimi anni
- da parte di tutti gli Stati europei e non solo - alla luce della crisi si era azzerata
o quasi. Senza la cooperazione internazionale, il miliardo di persone che soffre la
fame e la sete non può subìre ancora una situazione di stasi: in ogni caso tenta di
muoversi e cerca delle situazioni migliori. Un terzo punto - che riguarda soprattutto
l’Europa e, nello specifico, l’Italia - è quello di provare a rileggere anche le modalità
con cui gli stranieri entrano in Italia come in altri Paesi europei, per dare quote
maggiori, soprattutto ad alcuni Paesi - quelli al di là del Mediterraneo che vivono
la drammatica situazione di rivoluzione e di instabilità - ed inserire nei prossimi
decreti-flussi una maggior attenzione a queste realtà. Diversamente potremmo assistere
a nuovi arrivi, nuovi rimpatri e nuove espulsioni - perché spesso queste persone non
hanno il diritto d’asilo - che possono tradursi in nuovi tentativi di partenze e sbarchi
che possono avere dei risvolti drammatici, come è successo nei giorni scorsi per quelle
persone che volevano sbarcare in Puglia. (vv)
Sulla stessa linea, della
Cei, il direttore generale dell’Immigrazione al ministero del Lavoro, Natale Forlani,
che auspica interventi sinergici in Europa per aiutare “chi fugge da situazioni drammatiche”.
Massimiliano Menichetti lo ha intervistato.
R. - La posizione
espressa da Caritas Migrantes è assolutamente condivisibile. Del resto il governo
italiano, in questi due anni, ha posto con molta forza il tema in sede comunitaria,
trovando però, purtroppo, poco ascolto. Il tema africano sarà un tema che ci accompagnerà
per i prossimi anni in maniera davvero molto consistente, perché la destabilizzazione
non è di breve periodo e, d’altro canto, c’è una situazione subsahariana di guerre,
conflitti e carestie che ha messo in mobilità milioni di persone. E’ quindi un tema
che va assolutamente affrontato a livelli sovranazionali ed europei.
D.
- La stampa italiana riporta oggi una sua intervista che, in sostanza, ribadisce la
mancanza di lavoro ed il fatto che si va verso lo stop del decreto-flussi. Di cosa
parliamo, in realtà?
R. - Stiamo parlando della programmazione degli
ingressi per motivi di lavoro. Bisogna tener conto che, in Italia, c’è ormai un mercato
del lavoro degli immigrati molto consistente. Una parte di queste persone perde il
lavoro ed ha quindi la necessità di ritrovarlo. Non di rado ci sono persone che, in
Italia, hanno anche la famiglie con sé e magari si trovano qui da lungo tempo. C’è
perciò una priorità di inserimento di circa 280 mila immigrati disoccupati, di cui
140 mila stranieri ed extracomunitari per settori di sostegno al reddito. Abbiamo
il dovere di dare una risposta per evitare di portare ulteriori quote di ingressi
per motivi di lavoro che andrebbero a sovrapporsi e a determinare rischi di formazione
di un mercato sommerso.
D. - Un conto è parlare di una valutazione che
compie il Ministero nei confronti di quelle che saranno le politiche che guardano
all’aspetto del lavoro, un conto è parlare di persone, richiedenti asilo e profughi,
che stanno scappando da guerra, fame e povertà…
R. - Dobbiamo assolutamente
distinguere le due tipologie. Una è la programmazione degli ingressi per motivi di
lavoro che è legata alla domanda di lavoro delle imprese italiane, un’altra riguarda
gli ingressi “straordinari”. Quelli, cioè, motivati da problemi di accoglienza per
persone che sono in fuga a causa di motivi umanitari da guerre o anche per richiedenti
asilo a diverso titolo. Questo è un fenomeno che va gestito con logiche straordinarie
ed appropriate. Solo l’Europa ha la capacità di far fronte a questi numeri con un
approccio cooperativo più alto ed efficace. (vv)