Giornata nazionale del morbo di Parkinson, in Italia 300 mila i malati
Si celebra, oggi, la terza Giornata Nazionale della malattia di Parkinson. In Italia,
i malati di Parkinson sono circa 300 mila, con un’età d’esordio compresa fra i 59
e i 62 anni, ma è un dato da riconsiderare perché l'insorgenza della malattia si registra
sempre di più al di sotto di questa soglia. Un paziente su quattro, infatti, ha meno
di 50 anni e il 10 per cento meno di 40 anni. Questo è dovuto al fatto che oggi la
scienza è in grado di realizzare una diagnosi ai primi sintomi, quando la malattia
è ancora in fase precocissima. Inoltre si ipotizza che, mediamente, rispetto al momento
della prima diagnosi, l’inizio del danno cerebrale sia da retrodatare di almeno sei
anni. L'immagine, quindi, che la malattia riguardi solo le persone anziane non corrisponde
più alla realtà. Che malattia è dunque il Parkinson? Eliana Astorri lo ha chiesto
alla dottoressa Anna Rita Bentivoglio, ricercatore di neurologia presso il
Dipartimento di Neuroscienze del Policlinico Universitario "Agostino Gemelli" di Roma:
R. - La malattia
di Parkinson è neurodegenerativa e quindi la base neuropatologica è data da una scomparsa
precoce di alcune cellule rispetto all’invecchiamento cerebrale. In particolare, si
tratta delle “cellule della sostanza nera”: è un nucleo situato nella profondità cerebrale
che ha un ruolo cruciale nel controllo del movimento.
D. - Quali sono
le cause?
R. - Ormai si concorda sul fatto che, pur non essendoci una
chiarezza assoluta sulla causa finale del Parkinson, la malattia abbia un’eziologia
multi-fattoriale. Probabilmente concorrono dei fattori di predisposizione genetica
con l’esposizione a dei fattori tossici ambientali, a volte infettivi o con l’esposizione
a pesticidi e a tossine che provengono dall’industria che, insieme, concorrono appunto
a creare questo problema.
D. - Quali sono i sintomi?
R.
- La sintomatologia consiste sostanzialmente in un “tripode”: il sintomo più importante
è la mancanza di movimento, il rallentamento, o anche acinesia. Il paziente inizia
quindi a diventare lento, e questa lentezza si riflette su tutti gli aspetti del movimento.
Intacca, ad esempio, la mimica facciale, che diventa un po’ “povera”: si dice che
il paziente affetto dal morbo di Parkinson diventi come un giocatore di poker, non
lascia cioè trasparire le emozioni. La scrittura può diventare un po’ più piccola,
le mani possono pendolare di meno sui fianchi del corpo durante la deambulazione ed
anche il passo può diminuire. Questi sono i sintomi fondamentali, cui va aggiunto
il tremore, quello che si riconosce più facilmente perché spesso il paziente con il
Parkinson viene identificato come una persona che trema. E’ un tremore a riposo, che
spesso è asimettrico, direi anzi quasi invariabilmente asimmetrico: inizialmente colpisce
una parte del corpo - più frequentemente una mano o anche una gamba - e poi, man mano,
diventa bilaterale. Infine, sopravviene la rigidità. I muscoli tendono a diventare
un po’ più rigidi e questa rigidità è di tipo “plastico”: se io muovo passivamente
un braccio od una gamba, la rigidità accompagna tutto il movimento, senza fare scatti,
come invece si vede in altri tipi di rigidità, come la spasticità.
D.
- Colpisce quindi la parte motoria. Il paziente con il Parkinson è consapevole, vigile?
R.
- Certo. Questa è una domanda molto importante, perché il fulcro sintomatologico della
malattia di Parkinson è senz’altro motorio. Negli ultimi anni, però, abbiamo capito
con molta chiarezza che c’è un corteo di sintomi non motori che riguardano anche altri
organi, come il sistema cardiovascolare, quello gastrointestinale e quello genitourinario,
che sono chiaramente importanti. Prenderci cura precocemente anche degli aspetti internistici
della malattia permette di offrire al paziente una cura migliore e, di conseguenza,
una qualità di vita migliore.
D. - Quali sono le terapie?
R.
- Le terapie si avvalgono innanzitutto di una terapia sostitutiva: queste cellule
che vengono a mancare nel cervello producono una sostanza chiamata dopamina. La dopamina
di per sé non possiamo somministrarla al paziente, perché non è in grado di passare
la barriera ematoencefalica, di passare cioè quella barriera che protegge il nostro
cervello. Va quindi dato un precursore, la levodopa, oppure si possono dare dei farmaci
che mimano l’azione della dopamina e che vengono chiamati appunto dopamino-agonisti.
Ci sono poi anche altri tipi di farmaci, come gli anticolinergici, gli inibitori di
enzimi che degradano al dopamina e che rendono quindi i nostri farmaci e la stessa
dopamina endogena più longeva. Insieme all’armamentario farmacologico che possiamo
prescrivere al paziente, non dobbiamo dimenticare la riabilitazione: sia la fisioterapia
sia la logopedia, che sono molto importanti anche nella fase iniziale della malattia,
perché permettono al paziente di dare la migliore performance motoria ed anche di
recuperare una parte del controllo sul movimento senza affidarsi solo alle terapie
farmacologiche.
D. - Ci sono delle iniziative in occasione della Giornata
nazionale del Parkinson?
R. - Sì. E’ una giornata in cui tutti i centri
che si occupano di questa malattia apriranno le loro porte e metteranno a disposizione
le loro risorse umane per rispondere a chiunque voglia venire a fare delle domande,
a chiedere informazioni, a prendere contatti e a vedere cosa ogni centro può offrire.
(vv)