L'Esortazione Apostolica "Africae Munus". Padre Giulio Albanese: dalla Dottrina sociale
della Chiesa i valori per rilanciare il continente
Uno dei pilastri spirituali e allo stesso tempo sociali sul quale Benedetto XVI ha
imperniato l’Esortazione apostolica postsinodale Africae Munus è certamente
la giustizia. Il Papa lo ha affermato con decisione durante il recente viaggio apostolico
in Benin, consegnando il documento alle Chiese africane. I cattolici del continente
hanno una grande responsabilità nel favorire l’affermarsi di una stagione di riconciliazione
e di equità nel continente, come afferma padre Giulio Albanese, direttore di
“Popoli e Missione”, il mensile delle Pontificie Opere Missionarie. L’intervista è
di Alessandro De Carolis:
R. – Nelle
società africane oggi si sta radicando sempre di più la consapevolezza del bene comune
e questo attraverso la società civile, che non riguarda solo associazioni e movimenti
ma anche le comunità cristiane. Per cui, il contributo che la Chiesa cattolica in
questo senso può dare è estremamente importante. Anche perché questo è un modo per
andare davvero al di là di quella solita contrapposizione tra terzomondisti, da una
parte – che tengono sempre il dito puntato sulle responsabilità dei Paesi industrializzati
o neo colonialisti – e quella dei detrattori nei confronti dell'Africa, i reazionari
che dicono che se l’Africa va male è colpa degli africani. Quello che mi ha colpito
– anche se gli aspetti importanti del documento sono davvero tanti – è il fatto che
il Santo Padre sia riuscito a cogliere alcune questioni davvero nevralgiche: per esempio,
lo sfruttamento delle materie prime. Purtroppo, le risorse di questo continente sono
oggi, di fatto, svendute. Ecco perché è importante che si riaffermi il primato della
politica. In fondo, il Papa nell’Esortazione Apostolica parla di buon governo degli
Stati, che si esprime nel rispetto delle Ccostituzioni, delle libere elezioni, di
amministrazioni trasparenti e non tentate dunque dalla corruzione: troppe volte le
classi dirigenti, invece di servire le classi medie, che rappresentano la maggioranza
del continente, hanno piuttosto fatto gli interessi di poteri stranieri.
D.
– I campi d’azione individuati dal documento del Papa, nei quali specie la Chiesa
è chiamata a lavorare per radicare questa giustizia, sono tanti e noti: famiglia,
donne, bambini, vita. Per l’Africa, tutto questo è però legato anche a un’offerta
di solidarietà. E Benedetto XVI parla ancora di "globalizzazione della solidarietà":
ma che cosa questo significa per l’Africa?
R. – Globalizzazione della
solidarietà significa innanzitutto imparare a capire e comprendere che abbiamo un
destino comune e questa è una coscienza che deve partire innanzitutto e soprattutto
nel contesto delle comunità cristiane. Viviamo in un mondo villaggio globale. Quindi,
il destino delle Afriche è intimamente legato, connesso a quello di altre nazioni,
a quello di altri continenti. E a pensarci bene, in questo senso, l’evangelizzazione
viene proposta proprio come globalizzazione perspicace, intelligente, di Dio.
D.
– Da troppe generazioni, l’Africa rappresenta, per l’Occidente in particolare, lo
stereotipo di ciò che non funziona, che è misero, che è instabile e, in definitiva,
irredimibile. Colpisce allora la convinzione di Benedetto XVI, che parla invece di
Africa come di un continente dai valori positivi, in cui la speranza è possibile...
R.
– L’Africa, certamente, deve andare al di là dell’autocommiserazione, perché possiede
al proprio interno le risorse per farcela. E questo in che maniera? Affermando quella
che è la Dottrina sociale della Chiesa. E è una sfida che riguarda certamente anche
i cosiddetti donatori, i “donors”, che devono andare al di là di un atteggiamento
all’insegna dell’assistenzialismo. Ma è soprattutto importante che siano le culture
africane a prendare consapevolezza del patrimonio ancestrale rappresentato dai loro
avi. A me, quello che ha colpito molto, leggendo l’Esortazione Apostolica, ma anche
seguendo i vari interventi del Papa, è questa attenzione alle culture africane, che
rappresentano una grande risorsa. E allora, a partire proprio da questo vissuto –
da un senso molte volte di fraternità – ci sono state in questi anni bellissime testimonianze:
pensiamo alla Chiesa sierraleonese, piccolo gregge che è riuscito a essere un segno
di contraddizione tra gli opposti schieramenti, promuovendo la pace. Pensiamo al ruolo
delle donne nella Repubblica Democratica del Congo in favore della giustizia. Ci sono
tante belle testimonianze di cristiani impegnati, che a partire anche dalla propria
esperienza culturale hanno capito che, in fondo, la vita va rispettata sempre e comunque.
La Chiesa, da questo punto di vista, ha il compito di promuovere un senso di rispetto
e di fratellanza a livello continentale, proprio perché gli africani, con il cuore
e con la mente, comprendano a fondo, anche proprio grazie alla fede, che hanno insieme
un destino comune. (ap)