Egitto: i militari riuniscono le forze politiche. La piazza chiede un governo di salvezza
nazionale senza Forze armate
Nuovi scontri, seppur isolati, stamattina a Il Cairo con una ventina di feriti, di
cui almeno tre in gravi condizioni. Ci si aspetta oggi una marcia da un milione di
persone convocata dai giovani della rivoluzione del 25 gennaio per far cadere la giunta
militare che è subentrata al potere all'ex presidente Hosni Mubarak. In queste ore,
i militari hanno riunito le forze politiche. Il servizio di Fausta Speranza:
Dopo che
ieri il governo in carica di Essam Sharaf ha presentato le dimissioni, il Consiglio
supremo delle Forze armate ha riunito le forze politiche facendo appello al dialogo.
Hanno risposto positivamente i Fratelli musulmani d'Egitto, forza politica bene organizzata
nel Paese: hanno accettato l’invito e annunciato che non saranno in piazza oggi contro
il potere militare. Nella ormai simbolica Piazza Tahrir sono presenti ora i sostenitori
di quattro candidati presidenziali di diversa tendenza: Mohamed el Baradei, ex direttore
generale dell'Agenzia atomica internazionale, di tendenza liberale; il candidato della
sinistra Hamdeen Sabahi, capo del partito Karama (Dignità); il rappresentante dei
Fratelli musulmani, Abdel Moneim Aboul Foutouh, e il candidato salafita, Hazem Abou
Ismail. La domanda che viene dai manifestanti sembra quella di un governo di salvezza
nazionale con queste quattro personalità, che dovrebbero rilevare il potere attualmente
gestito dal Consiglio supremo delle Forze armate. Ci sono voci di un possibile annuncio
da parte dei militari di un governo affidato a El Baradei, personalità di rilievo
internazionale. Resta l’urgenza di evitare nuovi scontri nel Paese che l’11 febbraio
ha festeggiato la caduta del “presidente-dittatore” e che ora è alla vigilia delle
prime elezioni del post-Mubarak, previste per il 28 novembre. Elezioni parlamentari
che il vicepremier egiziano assicura ancora oggi si terranno secondo il calendario
previsto. Ma gli sviluppi politici in Egitto non sembra siano perfettamente prevedibili.
Delle
prospettive di questa difficile fase di transizione in Egitto, Fabio Colagrande
ha parlato con Don Augusto Negri, docente di Islamologia e direttore del "Centro
Federico Peirone" dell’arcidiocesi di Torino:
R. – Non
si vuole che la polizia accumuli ulteriore potere che cerchi cioè di prolungare una
situazione simile a quella precedente alla caduta di Mubarak: mi pare cioè che gli
egiziani siano coscienti che questo è il momento della transizione, che i militari
erano stati incaricati, in questa fase di passaggio, di garantire il corretto funzionamento
delle istituzioni consentendo ad un governo provvisorio di governare ma – appunto
– nell’ottica di arrivare alle elezioni, di consegnare ai politici il Paese. Ora,
sembra invece – da quanto è capitato – che i militari vogliano ergersi a giudici di
questo Paese, sull’esempio di quello che fecero i militari in Turchia prima dell’avvento
dell’Akp. Inoltre, i militari si sono autoproclamati custodi del sistema politico
approvando dei decreti che ampliano il loro potere in senso politico. Questo non è
stato accettato né dai Fratelli musulmani, né dagli altri partiti di tendenza opposta.
D.
– E’ da notare il fatto che a provocare proprio questa rivolta contro l’esercito,
in questo caso, ci sia proprio il partito dei Fratelli musulmani …
R.
– Il partito dei Fratelli musulmani in questo caso non condivide la vecchia politica,
che è quella di Mubarak, di detenere il potere con l’aiuto dei militari; pensano che
sia giunta l’ora che la situazione sia consegnata alla politica e dunque alle elezioni
e quindi ad un governo normale, che sia un governo costituente. E’ un Governo che
avrà dei problemi, questo è certo, ma anche loro sono convinti che sia necessario
assumere questa sfida, non oso chiamarla “della democrazia”, ma questa sfida della
nuova politica egiziana. Una politica non più affidata a partiti presidenziali corrotti,
ad una congrega di persone che detiene sia il potere politico che quello economico,
a fronte di milioni di egiziani che invece vivono con due dollari pro capite al giorno.
D.
– In queste ore, molti analisti e commentatori temono che le elezioni non si possano
svolgere e che il Paese sprofondi nel caos. In questo caso, pensiamo anche alle difficoltà
della minoranza cristiana copta, in Egitto. Lei, come islamologo, come legge questo
momento?
R. – Sì, è possibile che le elezioni slittino: diciamo che
al Cairo sono abbastanza abituati a queste dilazioni. Per quanto riguarda i copti,
da una parte abbiamo letto che molti se ne vanno, però è anche vero che molti restano
con una speranza che in qualche modo è stata ultimamente stigmatizzata da Papa Shenouda
III che ha parlato di un dovere civile dei copti di partecipare e di votare quei musulmani
che sono sensibili alla causa copta. Infatti tra i partiti ci sono posizioni diverse.
C’è chi vorrebbe l’applicazione rigida della Sharia e in questo caso i copti si troverebbero
a mal partito, come altre minoranze, tra cui ricordo – ad esempio – quella dei “baha’i”.
C’è poi invece una posizione di mezzo, che interpreta l’articolo 2 della Costituzione,
che vorrebbe la Sharia come fonte principale della legislazione, con la possibilità
– quasi – che ogni confessione religiosa abbia la sua legge garantita, come quella
musulmana, dalla Costituzione. E poi, c’è una posizione liberale che pensa ad uno
Stato laico e in questo caso ad una cittadinanza uguale per tutti. Quindi non è che
i copti siano ‘de facto’ condannati a rimanere per sempre in questo limbo in cui sono
stati confinati, più che altro, dall’agire del regime passato. (gf)