2011-11-22 16:03:27

"Asylon", quando un vino aiuta l'integrazione degli immigrati. Intervista con Laura Boldrini


Si chiama "Asylon", viene prodotto a Todi in Umbria, ed è un vino che aiuta i rifugiati a costruirsi un futuro. Il progetto ideato e realizzato dalla Caritas umbra e dall’Istituto agrario di Todi – la scuola agricola più antica d’Italia – è patrocinato e sostenuto dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e dall’Associazione Libera. I proventi della vendita di questo vino finanzieranno delle borse di studio per la qualificazione professionale dei richiedenti asilo e dei rifugiati in campo agricolo. Un’iniziativa che sposa dunque l’eccellenza di un prodotto locale, come il Grechetto di Todi, con l’irrinunciabile necessità di integrazione dei rifugiati della società italiana all’insegna della dignità. Ce ne parla Laura Boldrini, portavoce per l’Italia dell’Unhcr, intervistata da Stefano Leszczynski:RealAudioMP3

R. – Si fa un progetto che dà ai rifugiati la possibilità di dare un senso alla protezione che hanno ricevuto ma anche al territorio di usufruire di questa risorsa e il segreto di questo è, di fatto, la formazione. La vendita di questo vino, "Asylon", servirà a finanziare borse di studio per giovani rifugiati che già risiedono sul territorio e che potrebbero, quindi, studiare nella scuola agraria che produce il vino: questo è un circolo molto virtuoso.

D. – Perché il settore agrario è così simbolico e così importante per quanto riguarda i rifugiati?

R. – E’ significativo perché, purtroppo, abbiamo visto come vengono sfruttati gli immigrati e i rifugiati in questo settore. Qualificare e dare una formazione ai giovani immigrati e rifugiati che lavorano in agricoltura vuol dire anche restituire la dignità del lavoro che loro andranno a fare, dandogli consapevolezza che questo lavoro ha un valore e che non può essere considerato come qualcosa di secondario, oltre a non accettare le condizioni terribili cui spesso sono sottoposti, con stipendi che sono di 15 euro al giorno per 10-12 ore di lavoro. Abbiamo visto cosa generano le situazioni di questo tipo, lo abbiamo visto a Rosarno, a Castel Volturno. Allora come si fa per uscire da questo circolo, che invece è vizioso, che invece è deleterio? Attraverso la formazione e, secondo noi, attraverso la qualificazione delle persone e anche attraverso una loro presa di consapevolezza.

D. – C’è una possibilità che un progetto come questo possa essere adottato anche a livello istituzionale o, comunque, sostenuto a livello istituzionale?

R. – Penso che a livello istituzionale ci sia l’interesse di fare in modo che non si creino sacche di marginalità nei territori. Oggi, in quasi tutte le grandi città italiane i rifugiati vivono ai margini: questo non va né a vantaggio dei rifugiati stessi, che entrano in un tunnel di sconfitta, ma neanche a vantaggio delle comunità locali e crea tensione sociale. Quindi, la politica, la buona politica, deve impedire che si arrivi a questo punto, intervenire prima. Come? Attraverso l’integrazione, e questi sono progetti che vanno verso quella direzione. (bf)







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