2011-11-17 14:57:07

Tibet: il ritrovamento di testi della Chiesa rimanda alla presenza di 40 missionari cappuccini


Ha suscitato molto interesse la notizia del ritrovamento, in Tibet, di alcuni testi della Sacra Scrittura e della storia della Madonna in tibetano, in ottimo stato di conservazione. La notizia rimanda alla gloriosa presenza di 40 missionari cappuccini marchigiani a Lhasa, capitale del Paese, dove arrivarono nel 1707, dopo tre anni di leggendarie avventure. In viaggi successivi essi portarono dall’Italia i primi caratteri tibetani, incisi per conto dell’allora Propaganda Fide su richiesta di padre Francesco Orazio da Pennabilli. La piccola tipografia, nella quale furono stampati vari libri, fu affidata a frà Paolo da Firenze, che aveva lavorato nella tipografia del Granducato di Toscana. La sua sistemazione in un sottoscala (la residenza dei religiosi era molto piccola), fece sì che i monaci si rifiutassero, da quel momento in poi, di salire al piano superiore per non calpestare i “sacri caratteri” della loro lingua. Si deve anche ai cappuccini il trasporto di una campana, la Te Deum laudamus, che si conserva oggi, purtroppo irrimediabilmente incrinata, in una pagoda, dopo essere stata usata per vari anni dai cinesi come “campanello scolastico”. Un gruppo di concittadini di padre Orazio è riuscito qualche anno fa a farne un calco e a riprodurla in due esemplari, uno dei quali è esposto all’aperto nella piccola città del Montefeltro. All’inaugurazione prese parte il Dalai Lama. I cappuccini, che riuscirono a costituire un piccolo gruppo di battezzati, perseguitati per aver abbandonato la propria religione (anche i missionari furono fustigati a sangue), lasciarono il Tibet il 20 aprile 1745, stabilendosi nel Nepal. Della loro fatica resta un dizionario tibetano, scritto da padre Orazio da Pennabilli (che soggiornò per un anno con i monaci in un monastero di Lhasa), ritrovato un decennio fa. Resta, soprattutto, una bella pagina della storia delle missioni, “scritta con la semplicità degli animi eletti”, come ha detto l’accademico maceratese Giuseppe Tucci. (A cura di padre Egidio Picucci)







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