Da oggi al 16 novembre alla Casa del Cinema di Roma è in programma il Pitigliani Kolno’a
Festival, unica rassegna cinematografica in Italia dedicata al cinema israeliano e
di argomento ebraico. Con decine di nuovi titoli e prestigiosi ospiti, offre uno sguardo,
anche inaspettato, sulla società ebraica di oggi e i numerosi problemi che deve fronteggiare.
Il servizio di Luca Pellegrini:
E’ un’opportunità
unica quella che offre in Kolno’a Festival per conoscere le tendenze attuali del cinema
di Israele, portando la produzione di spicco dell’industria cinematografica locale
capace di offrire allo spettatore spunti di riflessione per superare una visione spesso
convenzionale che si tende ad avere di Israele e del mondo ebraico. I registi sono
tutti di giovane generazione, animati da una particolare attenzione al rapporto dell’individuo
con ciò che lo circonda, ossia i grandi problemi che oggi incombono sulla società
ebraica, a cominciare da quello della pace. Molte le anteprime in Italia, tra cui
Ajami di Scandar Copti e Yaron Shani, considerata una tra le opere più significative
e originali della cinematografia d’Israele, ambientata nel quartiere di Yaffo, terra
di quotidiano conflitto, uno spaccato di una realtà difficile, come sono molte di
quelle vissute dallo Stato d’Israele. Il tema della condizione sociale del presente
è al centro, ad esempio, di Teacher Irena, documentario diretto da Itamar Chen, in
cui la macchina da presa segue la maestra Irena che insegna nella periferia di Gerusalemme
dove cerca di inserire i bambini nella società, di ricoprirli d’affetto e allegria,
dando loro i mezzi per affrontare la vita e il futuro. Ad Ariela Piattelli,
che insieme a Dan Muggia dirige il Festival, chiediamo in quale modo secondo lei il
cinema è oggi legato al presente del suo Paese.
R. – Il cinema israeliano
oggi guarda al presente nel senso che si concentra su tutte le problematiche interne
in un Paese in cui oggi il problema non è soltanto la guerra ma ci sono dinamiche
sociali che vanno affrontate subito che sono interne ad un Paese che va alla ricerca
di una normalità, che vuole diventare un Paese come tanti altri che ha problemi comuni.
E’ vero che sono 60 anni che è in perenne stato di guerra però la gente continua a
viverci.
Nel cinema d’Israele non manca mai lo sguardo rivolto al passato,
alla storia. E’ ancora oggi una tendenza presente nei titoli che portate al Festival?
R.
– La storia ha sempre avuto un peso non solo nella società ma anche nel cinema israeliano.
C’è una grandissima sproporzione tra presente e passato. Mi sembra questo il motivo
sul quale bisogna porre l’accento. Dunque, direi che ci sono spunti che si riconducono
alla storia, ma non è questo che caratterizza oggi il cinema israeliano: il presente
va affrontato con più coraggio per acquistare una propria identità nell’oggi.