Udienza generale dedicata al Salmo 118. Il Papa: Dio ci metta nel cuore l'amore per
la sua Parola
Il Papa ha dedicato l’udienza generale di stamani in Piazza San Pietro al Salmo 118
e all’ascolto della Parola di Dio. Di seguito il testo della catechesi:
Cari
fratelli e sorelle,
nelle passate catechesi abbiamo meditato su alcuni
Salmi che sono esempi dei generi tipici della preghiera: lamento, fiducia, lode. Nella
catechesi di oggi vorrei soffermarmi sul Salmo 119 secondo la tradizione ebraica,
118 secondo quella greco-latina: un Salmo molto particolare, unico nel suo genere.
Anzitutto lo è per la sua lunghezza: è composto infatti da 176 versetti divisi in
22 strofe di otto versetti ciascuna. Poi ha la peculiarità di essere un “acrostico
alfabetico”: è costruito, cioè, secondo l’alfabeto ebraico, che è composto di 22 lettere.
Ogni strofa corrisponde ad una lettera di quell’alfabeto, e con tale lettera inizia
la prima parola degli otto versetti della strofa. Si tratta di una costruzione letteraria
originale e molto impegnativa, in cui l’autore del Salmo ha dovuto dispiegare tutta
la sua bravura.
Ma ciò che per noi è più importante è la tematica centrale
di questo Salmo: si tratta infatti di un imponente e solenne canto sulla Torah del
Signore, cioè sulla sua Legge, termine che, nella sua accezione più ampia e completa,
va compreso come insegnamento, istruzione, direttiva di vita; la Torah è rivelazione,
è Parola di Dio che interpella l’uomo e ne provoca la risposta di obbedienza fiduciosa
e di amore generoso. E di amore per la Parola di Dio è tutto pervaso questo Salmo,
che ne celebra la bellezza, la forza salvifica, la capacità di donare gioia e vita.
Perché la Legge divina non è giogo pesante di schiavitù, ma dono di grazia che fa
liberi e porta alla felicità. «Nei tuoi decreti è la mia delizia, non dimenticherò
la tua parola», afferma il Salmista (v. 16); e poi: «Guidami sul sentiero dei tuoi
comandi, perché in essi è la mia felicità» (v. 35); e ancora: «Quanto amo la tua legge!
La medito tutto il giorno» (v. 97). La Legge del Signore, la sua Parola, è il centro
della vita dell’orante; in essa egli trova consolazione, ne fa oggetto di meditazione,
la conserva nel suo cuore: «Ripongo nel cuore la tua promessa per non peccare contro
di te» (v. 11), è questo il segreto della felicità del Salmista; e poi ancora: «Gli
orgogliosi mi hanno coperto di menzogne, ma io con tutto il cuore custodisco i tuoi
precetti» (v. 69).
La fedeltà del Salmista nasce dall’ascolto della
Parola, da custodire nell’intimo, meditandola e amandola, proprio come Maria, che
«custodiva, meditandole nel suo cuore» le parole che le erano state rivolte e gli
eventi meravigliosi in cui Dio si rivelava, chiedendo il suo assenso di fede (cfr
Lc 2,19.51). E se il nostro Salmo inizia nei primi versetti proclamando “beato” «chi
cammina nella Legge del Signore» (v. 1b) e «chi custodisce i suoi insegnamenti» (v.
2a), è ancora la Vergine Maria che porta a compimento la perfetta figura del credente
descritto dal Salmista. E’ Lei, infatti, la vera “beata”, proclamata tale da Elisabetta
perché «ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45),
ed è a Lei e alla sua fede che Gesù stesso dà testimonianza quando, alla donna che
aveva gridato «Beato il grembo che ti ha portato», risponde: «Beati piuttosto coloro
che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,27-28). Certo, Maria è beata
perché il suo grembo ha portato il Salvatore, ma soprattutto perché ha accolto l’annuncio
di Dio, è stata attenta e amorosa custode della sua Parola.
Il Salmo
119 è dunque tutto intessuto intorno a questa Parola di vita e di beatitudine. Se
il suo tema centrale è la “Parola” e la “Legge” del Signore, accanto a questi termini
ricorrono in quasi tutti i versetti dei sinonimi come “precetti”, “decreti”, “comandi”,
“insegnamenti”, “promessa”, “giudizi”; e poi tanti verbi ad essi correlati come osservare,
custodire, comprendere, conoscere, amare, meditare, vivere. Tutto l’alfabeto si snoda
attraverso le 22 strofe di questo Salmo, e anche tutto il vocabolario del rapporto
fiducioso del credente con Dio; vi troviamo la lode, il ringraziamento, la fiducia,
ma anche la supplica e il lamento, sempre però pervasi dalla certezza della grazia
divina e della potenza della Parola di Dio. Anche i versetti maggiormente segnati
dal dolore e dal senso di buio rimangono aperti alla speranza e sono permeati di fede.
«La mia vita è incollata alla polvere: fammi vivere secondo la tua parola» (v. 25),
prega fiducioso il Salmista; «Io sono come un otre esposto al fumo, non dimentico
i tuoi decreti» (v. 83), è il suo grido di credente. La sua fedeltà, anche se messa
alla prova, trova forza nella Parola del Signore: «A chi mi insulta darò una risposta,
perché ho fiducia nella tua parola» (v. 42), egli afferma con fermezza; e anche davanti
alla prospettiva angosciante della morte, i comandi del Signore sono il suo punto
di riferimento e la sua speranza di vittoria: «Per poco non mi hanno fatto sparire
dalla terra, ma io non ho abbandonato i tuoi precetti» (v. 87).
La legge
divina, oggetto dell’amore appassionato del Salmista e di ogni credente, è fonte di
vita. Il desiderio di comprenderla, di osservarla, di orientare ad essa tutto il proprio
essere è la caratteristica dell’uomo giusto e fedele al Signore, che la «medita giorno
e notte», come recita il Salmo 1 (v. 2); è una legge, quella di Dio, da tenere «sul
cuore», come dice il ben noto testo dello Shema nel Deuteronomio: Ascolta,
Israele … Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai
ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via,
quando ti coricherai e quando ti alzerai (6,4.6-7). Centro dell’esistenza,
la Legge di Dio chiede l’ascolto del cuore, un ascolto fatto di obbedienza non servile,
ma filiale, fiduciosa, consapevole. L’ascolto della Parola è incontro personale con
il Signore della vita, un incontro che deve tradursi in scelte concrete e diventare
cammino e sequela. Quando gli viene chiesto cosa fare per avere la vita eterna, Gesù
addita la strada dell’osservanza della Legge, ma indicando come fare per portarla
a completezza: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri,
e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (Mc 10,21 e par.). Il compimento della
Legge è seguire Gesù, andare sulla strada di Gesù, in compagnia di Gesù
Il
Salmo 119 ci porta dunque all’incontro con il Signore e ci orienta verso il Vangelo.
C’è in esso un versetto su cui vorrei ora soffermarmi: è il v. 57: «La mia parte è
il Signore; ho deciso di osservare le tue parole». Anche in altri Salmi l’orante afferma
che il Signore è la sua “parte”, la sua eredità: «Il Signore è mia parte di eredità
e mio calice», recita il Salmo 16 (v. 5a), «Dio è roccia del mio cuore, mia parte
per sempre» è la proclamazione del fedele nel Salmo 73 (v. 23 b), e ancora, nel Salmo
142, il Salmista grida al Signore: «Sei tu il mio rifugio, sei tu la mia eredità nella
terra dei viventi» (v. 6b). Il termine “parte” evoca l’evento della ripartizione
della terra promessa tra le tribù d’Israele, quando ai Leviti non venne assegnata
alcuna porzione del territorio, perché la loro “parte” era il Signore stesso. Due
testi del Pentateuco sono espliciti a tale riguardo, utilizzando il termine in questione:
«Il Signore disse ad Aronne: “Tu non avrai alcuna eredità nella loro terra e non ci
sarà parte per te in mezzo a loro. Io sono la tua parte e la tua eredità in mezzo
agli Israeliti”», così dichiara il Libro dei Numeri (18,20), e il Deuteronomio ribadisce:
«Perciò Levi non ha parte né eredità con i suoi fratelli: il Signore è la sua eredità,
come gli aveva detto il Signore, tuo Dio» (Dt 10,9; cfr. Dt 18,2; Gs 13,33; Ez 44,28).
I sacerdoti, appartenenti alla tribù di Levi, non possono essere proprietari
di terre nel Paese che Dio donava in eredità al suo popolo portando a compimento la
promessa fatta ad Abramo (cfr. Gen 12,1-7). Il possesso della terra, elemento fondamentale
di stabilità e di possibilità di sopravvivenza, era segno di benedizione, perché implicava
la possibilità di costruire una casa, di crescervi dei figli, di coltivare i campi
e vivere dei frutti del suolo. Ebbene i Leviti, mediatori del sacro e della benedizione
divina, non possono possedere, come gli altri israeliti, questo segno esteriore della
benedizione e questa fonte di sussistenza. Interamente donati al Signore, devono vivere
di Lui solo, abbandonati al suo amore provvidente e alla generosità dei fratelli,
senza avere eredità perché Dio è la loro parte di eredità, Dio è la loro terra, che
li fa vivere in pienezza. E ora, l’orante del Salmo 119 applica a sé questa
realtà: «La mia parte è il Signore». Il suo amore per Dio e per la sua Parola lo porta
alla scelta radicale di avere il Signore come unico bene e anche di custodire le sue
parole come dono prezioso, più pregiato di ogni eredità, e di ogni possesso terreno.
Il nostro versetto infatti ha la possibilità di una doppia traduzione e potrebbe essere
reso pure nel modo seguente: «La mia parte, Signore, io ho detto, è di custodire le
tue parole». Le due traduzioni non si contraddicono, ma anzi si completano a vicenda:
il Salmista sta affermando che la sua parte è il Signore ma che anche custodire le
parole divine è la sua eredità, come dirà poi nel v. 111: «Mia eredità per sempre
sono i tuoi insegnamenti, perché sono essi la gioia del mio cuore». È questa la felicità
del Salmista: a lui, come ai Leviti, è stata data come porzione di eredità la Parola
di Dio.
Carissimi fratelli e sorelle, questi versetti sono di grande
importanza anche oggi per tutti noi. Innanzitutto per i sacerdoti, chiamati a vivere
solo del Signore e della sua Parola, senza altre sicurezze, avendo Lui come unico
bene e unica fonte di vera vita. In questa luce si comprende la libera scelta del
celibato per il Regno dei cieli da riscoprire nella sua bellezza e forza. Questi versetti
sono importanti anche per tutti i fedeli, popolo di Dio appartenente a Lui solo, “regno
di sacerdoti” per il Signore (cfr. 1Pt 2,9; Ap 1,6; 5,10), chiamati alla radicalità
del Vangelo, testimoni della vita portata dal Cristo, nuovo e definitivo “Sommo Sacerdote”
che si è offerto in sacrificio per la salvezza del mondo (cfr. Ebr 2,17; 4,14-16;
5,5-10; 9,11ss). Il Signore e la sua Parola: questi sono la nostra “terra”, in cui
vivere nella comunione e nella gioia.
Lasciamo dunque che il Signore
ci metta nel cuore questo amore per la sua Parola, e ci doni di avere sempre al centro
della nostra esistenza Lui e la sua santa volontà. Chiediamo che la nostra preghiera
e tutta la nostra vita siano illuminate dalla Parola di Dio, lampada per i nostri
passi e luce per il nostro cammino, come dice il Salmo 119 (cfr v. 105), così che
il nostro andare sia sicuro, nella terra degli uomini. E Maria, che ha accolto e generato
la Parola, ci sia di guida e di conforto, stella polare che indica la via della felicità. Allora
anche noi potremo gioire nella nostra preghiera, come l’orante del Salmo 16, dei doni
inaspettati del Signore e dell’immeritata eredità che ci è toccata in sorte: Il
Signore è mia parte di eredità e mio calice … Per me la sorte è caduta su
luoghi deliziosi: la mia eredità è stupenda (Sal 16,5.6).