A Firenze, l'Assemblea del Cism sul futuro della Chiesa italiana e il ruolo dei religiosi
Un ruolo “ponte” tra le varie realtà che compongono il mosaico della Chiesa italiana.
È uno dei principali obiettivi che si propongono i religiosi che vivono e operano
in Italia. Di questo e altri aspetti spirituali e pastorali discutono in questi giorni
a Firenze i delegati che partecipano alla 51.ma Assemblea generale della Cism, la
Conferenza italiana dei superiori maggiori, dal titolo “Confronto e aspettative sul
futuro della Chiesa in Italia. Quale compito dei religiosi?”. Alessandro De Carolis
ha girato la domanda del titolo al presidente della Cism, il salesiano don Alberto
Lorenzelli:
R. - È un
momento in cui c’è una certa difficoltà. I religiosi, pur vivendo momenti di difficoltà
- proprio perché non possiamo nascondere che in questo momento c’è un processo d’invecchiamento,
c’è un calo vocazionale e ci sono delle fragilità; non possiamo nascondere anche qualche
controtestimonianza - tuttavia, in mezzo ai vari problemi e alle sfide che il mondo
presenta, oggi i religiosi hanno comunque tenuto su tutti i fronti. Crediamo che questo
sia un aspetto essenziale della nostra Chiesa italiana, che è una Chiesa di popolo:
in questo popolo ci sono anche i religiosi.
D. - Circa ai ruolo giocato
dai religiosi nel contesto della Chiesa italiana contemporanea, su quali piste intendete
muovervi?
R. - Credo sia necessario in questo contesto ricuperare il
"Dna" della vita consacrata. Dobbiamo comunicare il primato di Gesù Cristo nella vita
di ciascuno di noi, a livello personale e anche a livello comunitario. Secondo, dare
testimonianza della nostra consacrazione di una vita sobria, distaccata: in un mondo
erotizzato, credo che la nostra scelta della purezza sia una cosa significativa. Terzo,
il dono di comunione: poter dimostrare che persone che non si sono scelte, ma riconoscono
di essere state scelte da Dio e messe insieme, sanno vivere la comunione, sanno vivere
la fraternità, sanno condividere i grandi valori che ogni esistenza umana porta con
sé.
D. - In effetti, uno degli aspetti fondanti della vita dei religiosi
è proprio quello della vita in comune, quindi della fraternità. In che modo cercate
di testimoniarlo nell’oggi della Chiesa italiana?
R. - Io credo che
oggi tutta la Chiesa italiana abbia bisogno di far crescere maggiormente il dono di
comunione. È un grande dono che il Concilio Vaticano II ci ha dato, che si può allargare
a macchia d’olio a tutta la realtà ecclesiale. Un tessuto che ci fa sentire fratelli,
perché abbiamo un grande obiettivo: di incontrare la persona di Gesù Cristo, non di
comunicare una dottrina. Questo è, credo, anche l’intento che Benedetto XVI ci sollecita
in questo tempo particolare, per la nuova evangelizzazione.
D. - Proprio
Benedetto XVI, sabato scorso, in una lettera ai vescovi francesi riuniti in plenaria,
ha in sostanza affermato questo: in un’epoca fortemente influenzata dalla secolarizzazione
e dall’indifferenza verso ciò che è sacro, assume grande rilievo la testimonianza
dei religiosi. Come riecheggiano in lei queste parole del Papa?
R. -
Credo che il Papa ci stia dando una grande testimonianza proprio attraverso quella
sua parola limpida, trasparente, che ci sollecita. Non è la prima volta che il Papa
esorta la vita consacrata e vediamo anche una grande attenzione e, mi sembra, anche
una grande preoccupazione nel momento in cui si vedono diminuire le presenze, per
esempio, nel nostro ambiente europeo. La provocazione che il Papa oggi ci dà è proprio
questa: religiosi, siate quello che siete. La Chiesa perderebbe il suo colore, il
suo profumo se venisse meno quella presenza dei religiosi, ma religiosi così come
ce lo chiede Benedetto XVI. (fd)