Colombia: duro colpo ai guerriglieri delle Farc, ucciso il leader Alfonso Cano
“Un Paese in cui vivere in pace”. Questo l’obiettivo del presidente colombiano Juan
Manuel Santos, subito dopo aver confermato l’uccisione di Alfonso Cano, leader delle
Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). A capo del gruppo guerrigliero
dal 2008, in seguito alla morte del fondatore Manuel Marulanda, Cano è rimasto vittima
di un'operazione dell'esercito nella regione sud-occidentale di Cauca. Le Farc hanno,
tuttavia, promesso di proseguire la lotta armata. Per un commento sugli effetti dell'uccisione
di Alfonso Cano sul futuro delle Farc, Giada Aquilino ha intervistato Stefano
Femminis, direttore del mensile internazionale dei Gesuiti “Popoli”:
R. – Sicuramente
è un colpo, non si sa ancora se mortale, ma certamente importante alle Farc, a questo
gruppo guerrigliero; simbolicamente ha anche la sua importanza perché è la prima volta
in cui in un’azione militare viene ucciso il capo supremo delle Farc. In questi anni
le Farc hanno perso molti dei loro dirigenti più importanti, a partire dal comandante,
Manuel Marulanda, che però era morto per un attacco di cuore. Altri dirigenti sono
stati uccisi in azioni militari ma erano figure, per quanto importanti, di secondo
piano. Invece, in questo caso, l’organizzazione viene colpita al cuore, al suo vertice.
L’altra cosa che va detta è che Alfonso Cano era considerato un leader più politico
che militare e questo potrebbe aprire la strada anche, però, a un inasprimento delle
posizioni delle Farc, nel senso che nell’organizzazione potrebbero prendere il sopravvento
le componenti ancora più violente e sanguinarie.
D. – Cano che nel 2008
aveva sostituito proprio Marulanda, l’anno scorso aveva invitato il presidente Santos
al dialogo: cosa vuol dire?
R. - Era ancora da capire quale fosse l’effettiva
disponibilità al dialogo, nel senso che il presidente Santos quando è arrivato al
potere, lui per primo ha lanciato un appello alle Farc tentando di fare quell’operazione
che Uribe aveva fatto con i paramilitari, un’operazione peraltro molto controversa
perché poi, di fatto, c’è chi dice che questi paramilitari, queste formazioni di destra,
in parte non siano mai davvero scomparse. Santos aveva provato a fare lo stesso con
le Farc, proponendo di fatto il rilascio di tutti i prigionieri, la deposizione delle
armi e promettendo in cambio, in sostanza, una sorte di amnistia. La risposta delle
Farc allora era stata negativa. Poi era arrivata la mano tesa, verbale, da parte di
Alfonso Cano, ma di fatto però la guerriglia e i rapimenti proseguivano. Negli ultimi
anni, ci sono stati anche diversi attentati che sono arrivati persino nella capitale
della Colombia, Bogotà, cosa che nei decenni passati non era successa.
D.
– Oggi quindi cosa sono le Farc? Ricordiamo, furono fondate negli anni ’70…
R.
– Sono un’organizzazione che è nata – senza per questo volerla giustificare – spinta
da ideali di giustizia in un Paese che era e rimane tra i più diseguali del mondo.
C’è una classifica secondo cui la Colombia è l’ottavo Paese più diseguale del mondo,
rispetto alla distribuzione della terra: l’ottanta per cento dei proprietari terrieri
possiede piccolissimi appezzamenti di terra pari al 10 per cento dell’area coltivabile,
mentre l’uno per cento dei proprietari controlla oltre la metà di tutti i territori
coltivabili della Colombia. Questo è un dato attuale, per dire come c’erano e ci sono
ancora diseguaglianze e squilibri contro cui questa formazione di ispirazione marxista
lottava. Nel corso degli anni, però, secondo tutti gli osservatori esperti di queste
cose si è proprio trasformata in una formazione terroristica che si finanzia con i
rapimenti e con il narcotraffico. L’uccisione del loro capo segna un percorso che
sembra verso una fine di questa esperienza davvero tragica che ha lasciato e seminato
morti. La Colombia è anche il primo Paese al mondo per numero di sfollati interni,
cioè di persone che hanno lasciato le loro case a causa delle guerriglia: si parla
di circa quattro milioni di persone. (bf)