Tensione in Medio Oriente. Padre Pietro Felet: educare alla pace liberandosi dai
pregiudizi
Due palestinesi sono stati uccisi oggi in un raid israeliano nella Striscia di Gaza,
secondo fonti palestinesi. I due sarebbero stati colpiti nel corso di uno scontro
a fuoco sul confine tra Israele e Gaza. Intanto, la marina militare israeliana si
è detta pronta ad intercettare due battelli della “Flottiglia umanitaria” salpati
dalla Turchia e diretti verso Gaza. Notizie, delle ultime ore, che acuiscono ancor
più le tensioni in Medio Oriente, dopo il riconoscimento dello Stato palestinese da
parte dell’Unesco e l’accelerazione nell’edificazione degli insediamenti israeliani
in Cisgiordania. Dal canto suo, Israele ha deciso oggi di congelare il suo contributo
all'Unesco. Sulla situazione dei cristiani di Terra Santa e le loro speranze in questo
periodo di particolare difficoltà, Alessandro Gisotti ha intervistato padre
Pietro Felet, segretario generale della Conferenza dei Vescovi latini delle regioni
arabe (Celra):
R. – I cristiani
che cosa chiedono oggi? Chiedono davvero una propria coscienza, sentirsi liberi di
praticare la religione, la fede ricevuta dai padri.
D. – Poi anche questo
elemento di radicamento...
R. – I cristiani locali sono perfettamente
inseriti in questa realtà, nella loro storia: non è la storia del musulmano, non è
la storia del cristiano, ma è la storia dell’arabo! Sono famiglie che hanno lo stesso
cognome e alcuni sono diventati per fattori storici cristiani, altri sono rimasti
musulmani oppure viceversa, ma si sentono arabi.
D. – Da una parte la
questione del riconoscimento dello Stato palestinese, dall’altra gli insediamenti
israeliani. Una sua riflessione su come i cristiani vivono questo particolare momento...
R.
– I cristiani, come tutti gli altri cittadini, sono influenzati dai mass media, dai
giornali, non tanto da una convenzione o da uno studio particolare della situazione.
Certo che le speranze che si accendono quando si vedono passi anche timidi verso la
costruzione della pace, queste speranze vengono deluse quando si vede che ci sono
salti mortali all’indietro, verso una situazione senza pace e una situazione di insicurezza.
Ci sono delle persone, ci sono delle forze che si compiacciono di vivere nell’insicurezza
e nel creare insicurezza, che crea a sua volta un isolamento delle persone, dei gruppi
di persone.
D. – In questo senso, quale contributo di speranza per la
pace, anche per rompere questo isolamento, possono dare i cristiani nella regione,
in Terra Santa?
R. – Formare, educare la formazione della coscienza,
la formazione della libertà. Questa formazione parte da una conoscenza della propria
religione, dal vivere la propria religione in maniera responsabile, dal liberarsi
dei pregiudizi. Pregiudizi talmente forti che distruggono l’altro. (ap)