Siria: il sì di Damasco al piano di pace della Lega Araba non ferma le violenze
Il via libera di Damasco al piano della Lega Araba per porre fine alle violenze in
Siria non ferma le violenze: almeno sette civili sono stati uccisi a Homs mentre in
altre città proseguono le proteste antigovernative. L’intesa, firmata ieri al Cairo,
prevede l’apertura di negoziati tra le parti, la cessazione delle violenze, il ritiro
dei militari dalle piazze e il rilascio dei prigionieri politici arrestati. Ma quali
sono le possibilità di riuscita del piano di pace della Lega Araba? Giancarlo La
Vella ne ha parlato con Paolo Branca, esperto di Paesi arabi, dell’Università
Cattolica di Milano:
R. – Bisognerà
verificare quotidianamente se le condizioni poste, come la liberazione dei prigionieri
e la sospensione delle violenze contro i civili, saranno rispettate dal regime siriano;
che non intervenga più l’esercito è una cosa buona ma ci sono molte altre milizie
sul terreno e quindi bisognerà naturalmente monitorare la questione. Nel quadro della
situazione, però, mi pare utile e interessante l’intervento della Lega Araba.
D. - Sul terreno intanto continuano le violenze come se ognuna delle
parti volesse iniziare la messa in pratica di questo piano da un punto di forza...
R.
- Sicuramente Damasco è stata costretta a queste condizioni perché la mobilitazione
popolare non cessa e il bilancio si aggrava sempre di più. Il fatto che sia intervenuta
la Lega Araba, quindi altri Paesi fratelli, è interessante perché la Lega Araba ultimamente
non aveva più un grande ruolo e la mancanza di un intervento di potenze occidentali
può solo favorire un clima dove manchino strumentalizzazioni ma da questo all’apertura
effettiva del regime passerà parecchio prima di arrivare a un dialogo autentico con
le opposizioni.
D. – Supponendo che il piano possa andare a buon fine,
a questo punto qual è la necessità di chiedere le dimissioni del presidente Al Assad,
dimissioni chieste anche da gran parte della comunità internazionale?
R.
– Certamente il passo indietro da parte del leader, come è avvenuto in Egitto o in
Tunisia, è un gesto simbolico. Ovviamente non è risolutivo perché tutto l’apparato
del suo partito e del suo regime dovrebbe fare un passo indietro, cosa assai difficile
dove ci sono interessi e privilegi consolidati da molto tempo. Penso che un avvio
di una transizione in qualche modo guidata e accompagnata da persone dell’attuale
regime sia l’unica soluzione praticabile in tempi brevi.
D. – L’avvio
di un processo di democratizzazione in un Paese come la Siria, all’interno dell’area
mediorientale, che significato ha?
R. – E’ quello che ci siamo sempre
tutti augurati, che i giovani e le classi medie si facessero sentire ed è quello
che è avvenuto, anche spontaneamente, con le primavere arabe. Ovviamente queste forze
però non sono organizzate e quindi il rischio è che poi il frutto di questi cambiamenti
sia colto soprattutto da vecchie formazioni che sono saltate sul carro dei vincitori.
Io credo che da parte internazionale sia molto importante che si vigili perché questo
non avvenga, altrimenti tutti i sacrifici che sono stati fatti in questi mesi potrebbero
essere vanificati. (bf)