Atene annuncia referendum sull'austerity: Borse a picco e colloquio imprevisto tra
Sarkozy e Merkel
La Grecia indirà un referendum sul piano di aiuti ad Atene e il pacchetto di misure
anti crisi varato nei giorni scorsi. Lo ha annunciato il premier greco George Papandreou
nel pomeriggio di ieri e stamane i listini del vecchio continente si muovono tutti
in territorio negativo. Allarme anche per il differenziale tra Btp italiani e i bund
tedeschi che ha sfiorato questa mattina i 440 punti. E per placare l’instabilità dei
mercati la Bce è tornata ad acquistare titoli di Stato italiani e spagnoli. Il punto
nel servizio di Marco Guerra:
La Grecia
non ha ancora formalmente informato la Commissione Europea dell'intenzione di sottoporre
a referendum il piano di aiuti concordato con l’Ue e il Fondo monetario internazionale.
Secondo diversi analisti, l’iniziativa dell’esecutivo greco rischia di aggravare ulteriormente
la crisi dell'eurozona. Un esito negativo della consultazione potrebbe segnare il
default incontrollato e l’uscita dall’euro di Atene, vanificando tutti gli forzi per
fermare il contagio della crisi. Fonti dell’Eliseo assicurano che il presidente francese,
Sarkozy, in giornata terrà un colloquio telefonico con il cancelliere tedesco, Angela
Merkel, per discutere la decisione di Atene. Diverse voci da Parigi e Berlino ritengono
il “gesto irrazionale e pericoloso” e in molti interpretano la volontà di Papandreou
di sfilarsi dalle proprie responsabilità. E intanto l’odierna seduta dei mercati ha
visto anche schizzare a oltre 440 punti lo spread fra il Btp italiano e il Bund tedesco.
La differenza di rendimento tra i titoli dei due Paesi non è mai stata così alta.
A seguito del nuovo record, la Bce è intervenuta sui mercati acquistando titoli di
Stato italiani e spagnoli. Iniziativa scattata nel primo giorno del mandato di Mario
Draghi all'Eurotower, in continuità con quanto fatto dal suo predecessore Trichet.
E sale quindi l’attesa per il vertice del G20 in programma per giovedì e venerdì a
Cannes. Dopo mesi di trattative i leader europei presenteranno al resto del mondo
il piano che prevede il rafforzamento del Fondo salva Stati europeo(Efsf), la ricapitalizzazione
delle banche e il salvataggio della Grecia.
Ma cosa aspettarsi dal G20
di giovedì? Fausta Speranza lo ha chiesto all'economista Mario Deaglio:
R. – Penso
che i partecipanti al G20 non sappiano bene cosa fare: si trovano di fronte ad una
crisi che gli sfugge di mano. Ci hanno già provato due o tre volte, applicando alcune
ricette, che erano quelle di stampare moneta, sostanzialmente, ma non è servito a
rilanciare l’economia, non solo: ha trasferito la debolezza dalla base fino al vertice,
e cioè verso le banche, verso i debiti sovrani e così via.
D. – Abbiamo
fatto il salto dal G8 al G20 e adesso vediamo questo G20 carico di responsabilità
e – come dice lei – anche un po’ titubante...
R. – E’ assolutamente
titubante. Naturalmente accetteranno i piani europei, perché è l’unica cosa che esiste
e perché l’Europa è il Paese, al momento attuale, più debole. La vera debolezza poi
è quella degli Stati Uniti, che però è nascosta al momento dalla debolezza europea.
Gli altri Paesi, i nuovi Paesi, sono molto contenti della loro “giovinezza”, della
loro capacità di non avere crisi, delle loro speranze di crescita, e si aspettano
che noi troviamo la soluzione. Quindi, qualcuno metterà sul tavolo le formule magiche
- il Fondo europeo e così via - tutti gli batteranno le mani, ma la cosa finirà lì.
Non vengono affrontati i veri problemi delle discontinuità e non viene affrontato
il male profondo.
D. – Quale sarebbe questo male profondo e come affrontarlo?
R.
– Il male profondo deriva dal fatto che con i modi di produzione attuale noi abbiamo
un predominio del settore finanziario sull’economia reale, e quindi gran parte del
sovrappiù lo accumulano soprattutto alcune banche – parlo a livello mondiale e non
a livello italiano, perché noi siamo fuori da questo – e all’interno di ciascuna società
abbiamo una forte crescita delle disuguaglianze. Quindi, noi facciamo sviluppo solo
se facciamo disuguaglianza, per cui le tensioni sociali stanno aumentando un po’ dappertutto.
Anche questo movimento degli indignati, e dei suoi equivalenti in America, sono da
guardare con molta attenzione. Insomma, non credo sia possibile con queste premesse
avere un’economia, una società stabile nel corso dei prossimi dieci, quindici anni,
che è poi l’orizzonte cui dovrebbero guardare i vertici di questo tipo. Speriamo che
almeno riescano a “mettere una pezza” sui prossimi sei mesi, visto che sui quindici
anni hanno dei problemi, e che nei prossimi sei mesi, pensandoci molto, si possa fare
qualche faticoso passo sulle strade giuste.
D. – Parliamo di fondo monetario,
dai vertici hanno annunciato anche aggiustamenti nei meccanismi per venire incontro
alla crisi, ma che cosa in realtà si potrebbe fare, quali potrebbero essere questi
aggiustamenti di meccanismi?
R. – I meccanismi che il Fondo monetario
ha per venire incontro alla crisi sono stati studiati soprattutto per Paesi emergenti,
Paesi poveri, Paesi in cui la crisi finanziaria era qualcosa di molto diverso dalle
nostre, sostanzialmente chiamava in causa l’esistenza stessa di quelle economie; e
allora, in fondo, è sempre intervenuto con degli strumenti rappresentati da prestiti
condizionati: in sei mesi fai una certa manovra e io ti do una nuova tan di prestito.
Finché si propone questo a Paesi come l’Argentina, la Turchia, e così via, va bene,
ma se si propone agli Stati Uniti o all’Italia diventa un problema più complicato.
Dobbiamo parlare invece qui probabilmente di linee di credito che vengono utilizzate,
non di tan di prestito che vengono dati quando uno ha fatto il compito e allora gli
si dice bravo e lo si fa passare ad una fase successiva. La cosa deve essere molto
più sciolta: una linea per cui il Paese che è in difficoltà, ma temporaneamente sembra
stare bene, può versare qualcosa. Quindi, in sostanza, una maggiore flessibilità,
perché le nostre economie sono fatte in maniera molto più sofisticata di quella dei
Paesi aiutati fino adesso. (ap)