2011-11-01 13:08:03

Atene annuncia referendum sull'austerity: Borse a picco e colloquio imprevisto tra Sarkozy e Merkel


La Grecia indirà un referendum sul piano di aiuti ad Atene e il pacchetto di misure anti crisi varato nei giorni scorsi. Lo ha annunciato il premier greco George Papandreou nel pomeriggio di ieri e stamane i listini del vecchio continente si muovono tutti in territorio negativo. Allarme anche per il differenziale tra Btp italiani e i bund tedeschi che ha sfiorato questa mattina i 440 punti. E per placare l’instabilità dei mercati la Bce è tornata ad acquistare titoli di Stato italiani e spagnoli. Il punto nel servizio di Marco Guerra:RealAudioMP3

La Grecia non ha ancora formalmente informato la Commissione Europea dell'intenzione di sottoporre a referendum il piano di aiuti concordato con l’Ue e il Fondo monetario internazionale. Secondo diversi analisti, l’iniziativa dell’esecutivo greco rischia di aggravare ulteriormente la crisi dell'eurozona. Un esito negativo della consultazione potrebbe segnare il default incontrollato e l’uscita dall’euro di Atene, vanificando tutti gli forzi per fermare il contagio della crisi. Fonti dell’Eliseo assicurano che il presidente francese, Sarkozy, in giornata terrà un colloquio telefonico con il cancelliere tedesco, Angela Merkel, per discutere la decisione di Atene. Diverse voci da Parigi e Berlino ritengono il “gesto irrazionale e pericoloso” e in molti interpretano la volontà di Papandreou di sfilarsi dalle proprie responsabilità. E intanto l’odierna seduta dei mercati ha visto anche schizzare a oltre 440 punti lo spread fra il Btp italiano e il Bund tedesco. La differenza di rendimento tra i titoli dei due Paesi non è mai stata così alta. A seguito del nuovo record, la Bce è intervenuta sui mercati acquistando titoli di Stato italiani e spagnoli. Iniziativa scattata nel primo giorno del mandato di Mario Draghi all'Eurotower, in continuità con quanto fatto dal suo predecessore Trichet. E sale quindi l’attesa per il vertice del G20 in programma per giovedì e venerdì a Cannes. Dopo mesi di trattative i leader europei presenteranno al resto del mondo il piano che prevede il rafforzamento del Fondo salva Stati europeo(Efsf), la ricapitalizzazione delle banche e il salvataggio della Grecia.

Ma cosa aspettarsi dal G20 di giovedì? Fausta Speranza lo ha chiesto all'economista Mario Deaglio:RealAudioMP3

R. – Penso che i partecipanti al G20 non sappiano bene cosa fare: si trovano di fronte ad una crisi che gli sfugge di mano. Ci hanno già provato due o tre volte, applicando alcune ricette, che erano quelle di stampare moneta, sostanzialmente, ma non è servito a rilanciare l’economia, non solo: ha trasferito la debolezza dalla base fino al vertice, e cioè verso le banche, verso i debiti sovrani e così via.

D. – Abbiamo fatto il salto dal G8 al G20 e adesso vediamo questo G20 carico di responsabilità e – come dice lei – anche un po’ titubante...

R. – E’ assolutamente titubante. Naturalmente accetteranno i piani europei, perché è l’unica cosa che esiste e perché l’Europa è il Paese, al momento attuale, più debole. La vera debolezza poi è quella degli Stati Uniti, che però è nascosta al momento dalla debolezza europea. Gli altri Paesi, i nuovi Paesi, sono molto contenti della loro “giovinezza”, della loro capacità di non avere crisi, delle loro speranze di crescita, e si aspettano che noi troviamo la soluzione. Quindi, qualcuno metterà sul tavolo le formule magiche - il Fondo europeo e così via - tutti gli batteranno le mani, ma la cosa finirà lì. Non vengono affrontati i veri problemi delle discontinuità e non viene affrontato il male profondo.

D. – Quale sarebbe questo male profondo e come affrontarlo?

R. – Il male profondo deriva dal fatto che con i modi di produzione attuale noi abbiamo un predominio del settore finanziario sull’economia reale, e quindi gran parte del sovrappiù lo accumulano soprattutto alcune banche – parlo a livello mondiale e non a livello italiano, perché noi siamo fuori da questo – e all’interno di ciascuna società abbiamo una forte crescita delle disuguaglianze. Quindi, noi facciamo sviluppo solo se facciamo disuguaglianza, per cui le tensioni sociali stanno aumentando un po’ dappertutto. Anche questo movimento degli indignati, e dei suoi equivalenti in America, sono da guardare con molta attenzione. Insomma, non credo sia possibile con queste premesse avere un’economia, una società stabile nel corso dei prossimi dieci, quindici anni, che è poi l’orizzonte cui dovrebbero guardare i vertici di questo tipo. Speriamo che almeno riescano a “mettere una pezza” sui prossimi sei mesi, visto che sui quindici anni hanno dei problemi, e che nei prossimi sei mesi, pensandoci molto, si possa fare qualche faticoso passo sulle strade giuste.

D. – Parliamo di fondo monetario, dai vertici hanno annunciato anche aggiustamenti nei meccanismi per venire incontro alla crisi, ma che cosa in realtà si potrebbe fare, quali potrebbero essere questi aggiustamenti di meccanismi?

R. – I meccanismi che il Fondo monetario ha per venire incontro alla crisi sono stati studiati soprattutto per Paesi emergenti, Paesi poveri, Paesi in cui la crisi finanziaria era qualcosa di molto diverso dalle nostre, sostanzialmente chiamava in causa l’esistenza stessa di quelle economie; e allora, in fondo, è sempre intervenuto con degli strumenti rappresentati da prestiti condizionati: in sei mesi fai una certa manovra e io ti do una nuova tan di prestito. Finché si propone questo a Paesi come l’Argentina, la Turchia, e così via, va bene, ma se si propone agli Stati Uniti o all’Italia diventa un problema più complicato. Dobbiamo parlare invece qui probabilmente di linee di credito che vengono utilizzate, non di tan di prestito che vengono dati quando uno ha fatto il compito e allora gli si dice bravo e lo si fa passare ad una fase successiva. La cosa deve essere molto più sciolta: una linea per cui il Paese che è in difficoltà, ma temporaneamente sembra stare bene, può versare qualcosa. Quindi, in sostanza, una maggiore flessibilità, perché le nostre economie sono fatte in maniera molto più sofisticata di quella dei Paesi aiutati fino adesso. (ap)







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