Diventare adulti senza maturità: gli psicologi denunciano il fenomeno “Adultescenza”
Un fenomeno fino a pochi anni fa sconosciuto è quello dell’“adultescenza”: un neologismo
che sta ad indicare l’atteggiamento di chi è adulto per età ma ha un’identità immatura
e mette in atto comportamenti adolescenziali. Ad indagare su queste dinamiche sempre
più diffuse nella nostra società è il libro appena uscito “Adolescenza e Adultescenza”.
Il testo, edito da CISU, raccoglie contributi di psicologi, sociologi e giuristi.
Debora Donnini ha intervistato una delle curatrici, la psicoterapeuta, Maria
Beatrice Toro:
R. - Ora
le persone che hanno tra i 25-30-40 anni hanno difficoltà ad emanciparsi dal punto
di vista lavorativo, soprattutto con la scelta di una famiglia e del diventare genitori.
Il che ha sicuramente un’origine di tipo sociale: le difficoltà lavorative o la crisi…
Però abbiamo voluto parlare anche del fatto che ci sembra che dietro a tutto questo
non ci siano soltanto problematiche economiche, ma proprio la difficoltà a staccarsi
dall’identità adolescenziale e a diventare finalmente adulti: questo significa che
si è assunto un ruolo stabile e si rinuncia ad alcune cose che hanno a che fare con
l’adolescenza.
D. - Ai giovani viene sempre detto: “Non c’è lavoro”;
“non c’è speranza”… Questi messaggi negativi, che nascono anche da una realtà problematica,
possono influenzare anche comportamenti violenti?
R. - Di fatto il messaggio
che gli adulti mandano ai giovani in difficoltà è un po’ un messaggio di sfiducia
e le stesse famiglie di origine che prima premevano molto perché i giovani si sposassero
ora sono molto più spaventate e quindi non danno fiducia ai giovani: né le famiglie,
né le banche, né i datori di lavoro. Questo genera una frustrazione enorme e i giovani
si trovano - in una condizione che in Italia è inedita - ad avere meno dei propri
genitori.
D. - Lei fa cenno alle manifestazioni di piazza di Roma con
il fenomeno dei black block. Come si può leggere questo fenomeno di violenza, di rabbia
alla luce di un disagio che, appunto, c’è…
R. - Quando c’è un disagio
bisogna vedere come provare a canalizzarlo e a rendere la propria difficoltà un motore
per costruire qualcosa. Quando, però, l’orizzonte che si ha davanti è un orizzonte
senza speranza, una strada che può prendere il disagio e la rabbia è la strada della
violenza e guardo proprio ai black block… oltre al fatto che hanno incendiato, distrutto,
dando sfogo veramente ad un nichilismo sempre più dilagante, una cosa che secondo
noi è fondamentale capire è anche il fatto che dietro quella maschera che si mettono
- diventando così tutti uguali - sembra che stiano cercando anche un’identità.
D.
- Questi giovani da cosa possono essere aiutati, secondo voi? Per esempio la fede,
il fatto di avere dei valori forti, trovare un senso profondo alla propria vita può
aiutare?
R. - Certamente. Alla fine quello che produce la devastazione
è la disperazione, il non possedere un orizzonte di speranza e un’idea di poter avere
qualcosa da portare avanti. Quando c’è un rinnegamento delle proprie radici, una perdita
di valori, una svalutazione delle relazioni - perché noi viviamo una “società liquida”,
dove le relazioni sono tantissime, ma in fondo poi la persona è sola - l’espressione
del nichilismo diventa più devastante. Laddove invece esiste un’idea di futuro e una
speranza, ovviamente si ha motivo per non lasciarsi andare e in questo senso noi,
come adulti, la cosa su cui dovremmo insistere è rilanciare alcuni valori, l’idea
stessa di famiglia e sicuramente anche la fede è un orizzonte addirittura ulteriore…
(mg)