Berlino: il governo italiano segua gli appelli di Napolitano attuando con risolutezza
le misure annunciate
Borse altalenanti stamani dopo l’euforia di ieri grazie all’accordo europeo per far
fronte alla crisi del debito sovrano. Oggi il portavoce dell'esecutivo tedesco ha
citato il presidente Napolitano invitando il governo italiano ad attuare "con risolutezza"
le misure anti-crisi annunciate. Nel Vecchio continente resta teso il dibattito tra
i partner dell’eurozona sulle riforme proposte dal governo a Bruxelles. Al centro
del piano europeo c’è il fondo salva-Stati, il cui valore è stato portato a mille
miliardi di euro. Ma si tratta di soluzioni realmente efficaci contro il rischio di
bancarotta? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Carlo Altomonte, docente
di Economia dell’Integrazione europea all’Università Bocconi di Milano:
R. – Le soluzioni
che sono state messe in campo sono in realtà un palliativo rispetto alla soluzione
ideale che sarebbe quella di coinvolgere direttamente la Banca centrale europea nel
sostegno sui mercati secondari dei titoli del debito pubblico. Tuttavia la Germania
si oppone fermamente a questa soluzione e quindi bisogna trovare modalità alternative
e una di queste modalità alternative è quella di creare un fondo che poi possa usare
le risorse per garantire una parte del debito che viene emesso dagli Stati e quindi
diminuirne la rischiosità.
D. – Un fondo salva-Stati che è andato gradualmente
crescendo: ci sono realmente questi soldi?
R. – No, evidentemente no,
nel senso che è un po’ come il discorso delle banche. Abbiamo un capitale bancario
che è quello che rappresenta la garanzia per i creditori e poi le banche lavorano
col cosiddetto effetto “leva”: cioè, sostanzialmente, se io devo garantire il 20 per
cento di una cosa, poi posso in qualche modo impegnarmi sul totale del debito ma in
realtà dovrò mettere i soldi per l’eventualità di un default del 20 per cento in realtà
perché tutto il resto verrebbe finanziato dal mercato.
D. - Secondo
lei la difficile situazione economica attuale sta evidenziando una sorta di crisi
di idee negli operatori economici, nel senso che non si va oltre misure nel breve
termine e non si pensa a misure per un rilancio alla lunga della crescita?
R.
– Evidentemente questa è una parte del percorso di uscita dalla crisi, quella che
riguarda la stabilità: tappare le falle della barca e quindi evitare di affondare.
Dopodiché dobbiamo anche iniziare a mettere mano al timone e iniziare a navigare.
Da questo punto di vista il rilancio di misure per la crescita è evidentemente fondamentale.
D.
– Avrebbe senso, secondo lei, andare a guardare altrove, per esempio, l’Argentina
che dopo la crisi dei bond era in una situazione difficilissima e ora la sua economia
è tornata più che florida…
R. – Il primo anno dopo il default, il pil
argentino è caduto del 30 per cento. L’Argentina si è tirata fuori dai suoi guai perché
mentre ha fatto il default, contemporaneamente il prezzo della sua principale esportazione,
i germogli di soia, è quadruplicato e il suo principale mercato di destinazione, il
Brasile, ha iniziato a crescere del 10 per cento. Se lei mi dice che il prezzo dei
beni che l’Italia esporta quadruplica e che la Germania cresce del 10 per cento, allora
io le dico che possiamo fare il default; se lei non mi dà questa ipotesi allora il
default italiano costerebbe tantissimo… A parte che il default italiano manderebbe
a carte all’aria tutto il resto del mondo perché salterebbero le banche francesi,
poi quelle tedesche, poi quelle americane e poi la Cina. (bf)