2011-10-25 14:15:51

I vescovi del'Angola in visita "ad Limina" in Vaticano. Mons. Mbilingi: la pacificazione interna passa per l'opera della Chiesa


Una Paese che deve fare i conti con le tante ferite che il suo passato di conflitti e guerre fratricide ha lasciato nei cuori di tutti: si tratta dell’Angola, i cui vescovi sono in Vaticano per la visita ad Limina. Al microfono di Lisa Zengarini, il presidente della Conferenza episcopale angolana, l’arcivescovo di Lubango, mons. Gabriel Mbilingi, spiega anzitutto che ruolo abbia svolto la Chiesa nel processo di riconciliazione nazionale:RealAudioMP3

R. – L’Angola ha vissuto 30 anni di grande sofferenza e divisione tra le varie etnie e popoli. La Chiesa ha sempre parlato della riconciliazione, attraverso i messaggi della Conferenza episcopale. Dopo l’indipendenza, la guerra civile è continuata, ma il partito al potere era quello marxista, leninista, e quindi ateo. Ha perciò intrapreso un’educazione di un certo tipo contro la Chiesa e la religione. Alcuni sacerdoti vennero uccisi, altri vennero imprigionati. Durante la guerra qualche suora è morta e dei seminaristi furono rapiti. Nel 2002, il Paese ha finalmente raggiunto questo periodo di pace. Da una parte, la Chiesa ha continuato la sua testimonianza, cercando di unire la famiglia angolana e dall’altra lo stesso governo, dopo aver raggiunto la pace, ha riconosciuto il ruolo determinante avuto dalla Chiesa per il raggiungimento della pace stessa.

D. – Il prossimo anno ci sarà il Sinodo sulla nuova evangelizzazione. L’Angola, oggi, è un Paese che ha bisogno di essere rievangelizzato?

R. – Si tratta di un Paese che esce da una situazione di guerra fratricida che si protrae da molti anni. C’è un’intera generazione che non ha avuto accesso all’insegnamento della Chiesa, ai valori e al Vangelo. In questo momento, il nostro Paese necessita di una profonda rievangelizzazione. I giovani di oggi sono molto influenzati dalla globalizzazione e da una certa secolarizzazione, inoltre si trovano anche in mezzo a molte sette religiose. Chi è al potere, in questo momento, appoggia l’islam, nella speranza che possa "combattere", assieme alle sette, l’azione della Chiesa che rappresenta una solida realtà in Angola. L’azione della Chiesa cattolica in particolare, ma anche del cristianesimo in generale. Il Sinodo, per noi, sarà quindi un’occasione per poter riflettere insieme sull’attuale contesto in cui siamo chiamati ad evangelizzare il nostro Paese.

D. – Quali sono, oggi, i rapporti ecumenici ed interreligiosi in Angola?

R. – Con l’islam non siamo ancora riusciti ad avere dei rapporti, perché in questo momento non hanno dei capi con cui possiamo parlare. Quello che adesso notiamo è un certo progresso dell’islam, che porrà comunque delle sfide per lo svolgimento della missione della Chiesa.

D. – Per quanto riguarda il rapporto tra clero e laici, nella Chiesa angolana, cosa può dirci?

R. – Direi che il rapporto è veramente buono, perché in Africa - e in particolare in Angola – se non ci fossero stati i catechisti non avremmo mai potuto evangelizzare. Il ruolo dei laici, da parte della Conferenza episcopale, è stato riconosciuto. C’è un vescovo responsabile proprio dell’apostolato dei laici, con una speciale attenzione a dirigenti, imprenditori, medici e professori, per far sì che i laici siano, in questo senso, il fermento della società. (vv)







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