Tunisia: alle urne oltre il 90 per cento degli aventi diritto, favoriti gli islamici
di Ennahdha
Tunisia, ieri, alle urne per eleggere l’Assemblea Costituente che dovrà scrivere la
nuova Carta fondamentale e traghettare il Paese verso la normalizzazione, dopo l’era
Ben Alì. Anche se si tratta di dati parziali, si starebbe delineando un’affermazione
del partito confessionale islamico Ennahdha, di Rached Gannouchi. I risultati ufficiali
saranno resi noti non prima di domani. L’appuntamento elettorale è stato ricordato
dal presidente Usa, Barack Obama, che ha parlato di “importante passo avanti nel Paese
che ha dato il via alla primavera araba”. Alta la percentuale dei votanti: oltre il
90% degli aventi diritto. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Luciano Ardesi,
esperto di Nord Africa:
R. - Era
atteso un tasso di partecipazione così elevato e, senza dubbio, c’è stata un’affluenza
massiccia, soprattutto con uno spirito di volontà di cambiamento. La gente ha partecipato
con grande entusiasmo. Era una cosa che aspettavano da anni: c’è chi praticamente
ha votato per la prima volta o che, per la prima volta, si è sentito libero di votare.
D.
- Ora gli occhi della comunità internazionale sono tutti puntati sui partiti islamici
che, se vittoriosi, potrebbero allontanare il Paese da quel laicismo che l’ha sempre
contraddistinto …
R. – Certo: questo è il grande interrogativo. Sicuramente
sarà difficile che Ennahda, il principale partito islamico, possa conquistare la maggioranza
assoluta nella nuova Costituente. Si dovranno fare delle alleanze, e alcuni partiti
hanno già dichiarato di essere disponibili; altri no. Credo che sarà una dialettica
sicuramente difficile ma alla quale il Paese si dovrà in qualche modo piegare.
D.
- La Tunisia è stato il primo dei Paesi che hanno vissuto la primavera araba ad andare
alle urne, oltre essere il Paese da cui sono partite le rivolte: un esempio per tutto
il mondo arabo e una grande responsabilità, anche, per quanto riguarda il voto.
R.
- Anche gli altri Paesi arabi, anche coloro che sono scesi in piazza - non solo in
Egitto o in altri Paesi - guarderanno la Tunisia come un modello, anche perché l’organizzazione
delle elezioni è stata una novità per il mondo arabo. Sono scese in campo le Nazioni
Unite, l’Unione Europea, non solo con gli osservatori ma anche con corsi di formazione
per chi dovrà gestire le elezioni e il dopo elezioni. E’ un grande esperimento. Questo
resterà in qualche modo un punto fermo, un punto al di sotto del quale non si potrà
andare negli altri Paesi, a meno di non ritornare alle vecchie pratiche, quindi alla
negazione della democrazia.
D. - Le elezioni sono state anche esaltate
da Obama. Quanto conta questo appoggio della Casa Bianca?
R. - Con questi
Paesi gli Stati Uniti hanno sempre mantenuto una diplomazia meno schierata rispetto
a quella di alcuni Paesi dell’Unione Europea. C’è tutto l’interesse per riportare
un certo equilibrio, una certa normalità in questa area del mondo. Un polo democratico
come quello della Tunisia, anche se è un piccolo Paese e demograficamente non ha un
grande peso, può essere un inizio.
D. - Il voto di ieri è giunto dopo
una campagna elettorale lunghissima e durissima. Ma è stata, secondo te, anche corretta?
R.
– Secondo gli osservatori ma anche secondo i giornalisti presenti in Tunisia sostanzialmente
si. Ci sono stati – è vero – anche episodi d’intolleranza durante la campagna; perfino
nel villaggio simbolo, Sidi Bouzi, da dove era partita la rivolta, ci sono state tensioni,
ma se consideriamo che questa è la prima volta che viene esercitato il diritto di
voto in maniera completamente libera, credo che si possa accettare qualche sbavatura
e qualche difficoltà nel mettere in piedi questa complessa macchina elettorale della
democrazia. (ada/gf)