Spagna: i separatisti baschi dell'Eta annunciano la fine della lotta armata
Dopo quasi mezzo secolo di violenza e di sangue e oltre 800 morti, i separatisti armati
baschi dell’Eta hanno annunciato ieri ''la cessazione definitiva dell’azione armata'',
invitando i governi di Spagna e Francia ad aprire ''un dialogo diretto'' per trovare
una soluzione alle ''conseguenze del conflitto''. L'annuncio è giunto dopo che in
gennaio l’Eta, fortemente indebolita dall'ondata di arresti decisa da Madrid e Parigi,
aveva già proclamato una tregua unilaterale e permanente. Il prossimo 20 novembre,
poi, la Spagna andrà al voto per le politiche anticipate, per le quali il capo dell'opposizione
al premier uscente José Luis Zapatero, il leader del Partido Popular Mariano Rajoy,
è considerato favorito. Sulla decisione dell’Eta, Giada Aquilino ha intervistato
Alfonso Botti, docente di Storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio
Emilia, esperto di questioni iberiche:
R. – Quello
dell’Eta è un comunicato dai toni trionfalistici. In realtà è una resa, dovuta al
concorso di molti fattori, non ultimi quelli della pressione della polizia e della
perdita di solidi legami con l’ambiente sociale, politico e culturale dei Paesi Baschi.
D.
– Quali altri fattori hanno inciso?
R. – Credo che ce ne sia uno che
non è stato preso in considerazione dagli analisti: il fatto che, a seguito degli
attentati di Atocha, avvenuti dopo quelli alle Torri Gemelle, lo strumento del terrorismo
e degli attentati indiscriminati e non mirati è stato identificato con il fondamentalismo
islamista. Quindi non è stata più un’arma alla quale un movimento nazionalista radicale,
come il nazionalismo basco, ha potuto ricorrere.
D. – L’Eta, nel comunicato,
non ha però annunciato la consegna delle armi, come invece hanno fatto altri gruppi
separatisti. Cosa può significare?
R. – Non solo non ha annunciato la
consegna delle armi, ma non ha neanche annunciato la dissoluzione dell’organizzazione.
Ha annunciato solo la cessazione definitiva dell’attività armata. E’ difficile stabilire
cosa questo possa significare. Certamente non soddisfa le richieste che provenivano
da parte delle forze politiche democratiche spagnole. Può voler dire che c’è un travaso
dei propri militanti nelle organizzazioni politiche dell’estrema sinistra nazionalista
basca e radicale o può purtroppo voler dire anche che pensa ad una riproposizione
della propria attività, qualora non si verificassero le condizioni che ritiene necessarie.
D.
– Tra meno di un mese, in Spagna, ci saranno le elezioni politiche anticipate. L’annuncio
dell’Eta che ripercussioni può avere?
R. – In teoria dovrebbe premiare
un po’ il Partito socialista di Zapatero, che ha da una parte posto il problema di
una soluzione negoziata avviando un dialogo e dall’altra, però, non è stato fatto
alcun passo indietro per quello che riguarda l’attività repressiva della polizia.
In realtà, per com’è la situazione economica e politica attuale nel contesto spagnolo,
credo che non abbia grandi ripercussioni sul piano elettorale. I sondaggi e le inchieste
danno dieci punti ed anche più di vantaggio per il Partito Popolare di Rajoy: credo
che probabilmente questa forchetta tenderà a ridursi nelle prossime settimane, però
difficilmente le elezioni del 20 novembre non vedranno la vittoria del Partito Popolare.
D.
– Dopo quasi mezzo secolo di violenza e sangue non si possono dimenticare gli oltre
800 morti che le azioni dei separatisti baschi hanno provocato. Finisce quello che
è stato definito l’ultimo conflitto armato in Europa, ma cosa inizia?
R.
– Dovrebbe iniziare un duro confronto, sul piano politico, per una parte del popolo
basco: scegliere se restare con la Spagna o imboccare la via della secessione e del
separatismo. Si tratta di un contrasto politico di natura anche giuridica, perché
in primo luogo i nazionalisti baschi che vogliono l’indipendenza sono una minoranza
all’interno della popolazione basca e in secondo luogo perché, ammesso che una via
di questo tipo sia plausibile, bisognerebbe discutere su quale percentuale sarebbe
necessaria per avviare una secessione. (vv)