Pakistan: estremisti islamici a sostegno dell'assassino del difensore di Asia Bibi
La frangia fondamentalista islamica, l’associazione che riunisce gli avvocati di Rawalpindi,
un famoso giudice del tribunale di Lahore e migliaia di pakistani nelle piazze: una
fetta consistente del Paese ha lanciato la sfida al sistema giudiziario e al governo,
colpevoli di aver condannato a morte Mumtaz Qadri, la guardia del corpo e assassino
reo-confesso del governatore del Punjab Salman Taseer, ucciso il 2 gennaio per aver
difeso la cristiana Asia Bibi e chiesto modifiche alle leggi sulla blasfemia. Leader
cattolici confermano all'agenzia AsiaNews la “reazione massiccia” dei partiti religiosi
contro la sentenza e osservano “con dolore” una nazione che “rischia di precipitare
nel caos e nell’anarchia”. Sahibzada Fazle Karim, presidente del movimento sunnita
Ittehad Council, ha annunciato per il prossimo 21 novembre una catena umana dallo
slogan: “Cacciamo il governo”. Secondo i propositi del leader estremista, una lunga
fila di persone che da Rawalpindi – dove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza
a carico di Qadri – arriverà fino a Karachi, nel sud del Pakistan, chiederà le dimissioni
dell’esecutivo. “Non lasceremo che il governo – afferma Sahibzada Fazle Karim – tenga
in pugno l’eroe dell’islam, che ha ucciso un blasfemo infedele”. Egli lancia infine
un appello a tutti i musulmani, perché combattano uniti contro “il governo, gli ahmadi
e l’Occidente” accusati di “cospirazione contro l’islam”. Con una decisione che ha
destato sorpresa, l’ex capo dell’Alta corte di Lahore ha deciso di assumere la tutela
legale di Qadri nel processo di appello a Islamabad. Come appurato dall’agenzia Fides,
si tratta dell'ex giudice che, nel novembre 2010, negò la possibilità del perdono
presidenziale ad Asia Bibi, nel momento in cui il Presidente Ali Zardari – dopo aver
ricevuto una relazione proprio da Salman Taseer e dall’allora Ministro per le minoranze
Shahbaz Bhatti – era sul punto di concedere la grazia. L'ex giudice – giurista noto
per la sua affiliazione a partiti religiosi islamici – emise un’ordinanza che frenò
il presidente, affermando che, finchè il caso era oggetto di un processo giudiziario,
il presidente non aveva il potere di intervenire. I membri dell’Associazione degli
avvocati di Rawalpindi ha avanzato un ultimatum al governo: se entro cinque giorni
non verrà trasferito il giudice Syed Pervez Ali Shah – autore della sentenza di condanna
a morte – verrà indetto lo sciopero nazionale dei legali. Intanto la procura della
capitale ha sospeso l’esecutività della condanna a morte, in attesa dell’appello.
Intanto fra i leader cattolici pakistani resta il timore di una deriva violenta della
protesta: per mons. Lawrence Saldanha, arcivescovo emerito di Lahore, si è registrata
una “reazione massiccia” dei partiti religiosi islamici, che finora “le autorità hanno
saputo controllare”. Per mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad-Rawalpindi, che
un prestigioso giudice decida di assumere la difesa di un criminale non è “un bel
segnale” per il sistema giudiziario pakistano. Non solo per il gesto in sé di uccidere,
chiarisce il prelato, ma per “la giustificazione ad ammazzare chiunque non la pensi
come te”. Il vescovo della capitale lancia l’allarme: il Paese rischia di precipitare
nel caos e nell’anarchia, un luogo in cui “gli assassini sono considerati eroi”. E
nota una contraddizione: se l’omicidio di Taseer era giustificato, perché il movimento
islamico Tehreek offre una somma di denaro “per lavare col denaro il sangue versato”.
(R.P.)