La Slovacchia dice 'no' al fondo salva Stati mentre Trichet chiede di agire in fretta
contro la crisi
Nuovo ostacolo sulla via della ripresa economica dell’Europa: la Slovacchia ha bocciato
ieri il Fondo salva Stati messo a punto dalla Banca centrale europea, mentre nell’Europarlamento
il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, lanciava il suo monito ad agire in fretta
contro la crisi. Intanto la stessa Banca centrale ha assegnato stamane 1,4 miliardi
di dollari a sei banche europee, secondo il piano di finanziamento in dollari a tre
mesi annunciato a metà settembre, ed ha pure assegnato ad un altro istituto di credito
500 milioni di dollari ad una settimana. Quali scenari si aprono? Roberta Gisotti
ha intervistato il prof. Carlo Secchi, ordinario di Politica economica europea
all’Università Bocconi di Milano, già rettore dello stesso Ateneo.
D. - Prof.
Secchi, come si motiva il 'no' del Parlamento della Slovacchia?
R. –
L’impressione che si ha è che una delle forze politiche, che poi ha condizionato il
risultato, e trovandosi in una posizione abbastanza ambigua, perché nel contempo fa
parte della maggioranza di governo, ha ritenuto in questo modo di dare un segnale
di malcontento rispetto ad altre tematiche imputabili, dal loro punto di vista, all’Unione
Europea. Quindi, è un segnale che viene da un movimento antieuropeista, come purtroppo
se ne stanno diffondendo di recente, che, però, a mio giudizio, ha utilizzato l’occasione
peggiore che si potesse immaginare per manifestare la propria opinione.
D.
- La Slovacchia era l’ultimo Paese dell’eurozona a doversi pronunciare sul fondo salva-Stati,
dopo il sofferto sì tedesco e olandese e l’ok di Malta. Ora cosa accadrà?
R.
– Quello che presumibilmente accadrà sarà una ripetizione di questo voto, che il governo
ha già annunciato di voler fare, e questa volta si dovrebbe avere un voto positivo.
La posta in gioco non è tanto il Fondo, in quanto tale, quanto l’aumento delle sue
disponibilità ad un livello tale da poter veramente fungere da paracadute per l’area
dell’euro, nell’ipotesi - che nessuno spera si verifichi - del default di uno Stato
come la Grecia. Tra l’altro, i mercati borsistici stanno reagendo senza particolare
preoccupazione: l’euro si è rafforzato, il che fa pensare che gli operatori economici
danno per scontato si tratti di una forma ancorché condannabile di protesta, ma che
rientrerà con un voto a favore in tempi molto brevi.
D. - Jean-Claude
Triscet, presidente uscente della Bce, ha parlato ieri al Parlamento di Strasburgo
di una “crisi sistemica”, peggiorata nelle ultime tre settimane, e che necessita decisioni
ormai rapide dagli Stati, per risanare i loro conti e ricapitalizzare le banche. Allora
sarà ascoltato?
R. – Io credo di sì. E’ già stato ascoltato in anticipo,
in quanto l’ultimo fatto a cui lui si riferisce è certamente la vicenda della Dexia,
che è stata risolta in tempi brevi, con apprezzamento da parte dei mercati. Il segnale
dato è stato quello che i Paesi europei, di fronte alla crisi di un istituto bancario,
per di più importante, come quello di cui stiamo parlando, sono disposti ad intervenire
in tempi rapidi e con tutto quanto è necessario per disinnescare il problema. Questo
non vuol dire che ci si debba cullare sugli allori. La guardia deve essere sempre
molto vigile: altre situazioni possono verificarsi. Il Fondo di cui si parlava prima
serve anche per eventuali sostegni a favore del sistema bancario dei singoli istituti.
Triscet ha il dovere di tenere alta l’attenzione sui problemi di fronte ai quali ci
troviamo, affinché nessuno si illuda che il processo di risanamento della finanza
pubblica e di riconsolidamento del sistema bancario possa essere interrotto, perché
abbiamo fatto abbastanza. Bisogna continuare sulla strada imboccata. (ap)