Dopo il presunto sventato complotto iraniano per uccidere l'ambasciatore saudita a
Washington, gli Stati Uniti minacciano l'Iran di gravi conseguenze, e lavorano per
isolare Teheran. Non viene esclusa neppure un'azione militare, mentre il vicepresidente
Biden ha ventilato la possibilità di nuove sanzioni. Da parte sua, Teheran respinge
ogni accusa e definisce il piano terroristico di cui è accusata ''un ridicolo show''.
Salvatore Sabatino ne ha parlato con Antonello Sacchetti, esperto di
questioni iraniane:
R. – Dopo
diversi mesi si riparla di Iran, che dopo la primavera araba, il conflitto in Libia,
era uscito dall’agenda internazionale, almeno apparentemente. Questo è già un dato
di fatto. La primissima impressione è che appunto ci sia un rafforzamento di un asse
tra l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti in chiara chiave anti-iraniana: questa è una
cosa evidente, al punto che anche la reazione iraniana mi sembra molto forte: hanno
toccato una sensibilità molto viva.
D. – Ricordiamo che Stati Uniti
e Arabia Saudita, durante la Prima Guerra del Golfo contro l’Iraq, erano praticamente
unite, nella Seconda invece hanno avuto qualche problema diplomatico. Questo vuol
dire che si sta ricompattando l’asse Washington-Riad?
R. – Apparentemente
sì. Io vorrei ricordare anche che Arabia Saudita e Stati Uniti sono stati i principali
sostenitori politici, nonché militari, dell’Iraq, nella guerra contro l’Iran. In questo
momento, sicuramente, c’è una situazione molto più complicata di quello che sta avvenendo
in Medio Oriente, soprattutto nel Mediterraneo. E’ evidente, però, che c’è una situazione
nuova, che è data anche dal fatto che l’Iran è in difficoltà evidente rispetto a quello
che è l’unico alleato della regione, cioè la Siria, che sta attraversando una crisi
interna abbastanza grave.
D. – Su una cosa non ci sono dubbi, l’Iran
periodicamente torna in primo piano nell’agenda internazionale, soprattutto un’agenda
fatta di crisi. Perché?
R. – Mi sembra evidente che entriamo in una
fase che, politicamente, è molto delicata, per una serie di scadenze. L’Iran si appresta
a vivere un anno particolarmente travagliato, perché in primavera si voterà per il
parlamento e il fronte conservatore è quanto mai diviso. La partita, in questo momento,
è molto alta ed è interna. Tra un anno si rivoterà per la presidenza e sappiamo già
che Ahmadinejad non ci sarà, perché non può ricandidarsi per una terza volta. Dall’altra
parte, anche gli Stati Uniti sono ad un anno preelettorale e da un certo punto di
vista ci sono molte questioni rimaste ancora in sospeso: l’Afghanistan, l’Iraq, la
situazione nuova per quanto riguarda i Paesi del Golfo Persico, e lì rientra l’Iran
come fattore che può essere sia di stabilizzazione che di destabilizzazione. Mi sembra
che questa sia un’accelerazione anche abbastanza improvvisa. Su quali basi tutto questo
poi avvenga è tutto da discutere. Io personalmente rimango sempre un po’ perplesso
quando c’è un attentato che si fa attraverso un’organizzazione che passa per bonifici
bancari, per noleggio di aerei privati e tutte cose più che mai tracciabili. Ora è
vero che dopo l’11 settembre siamo abituati a prendere tutto per buono, tutto per
verissimo, ma io sarei più cauto su tutto. (ap)