Tunisia, parla uno dei candidati alla Costituente: la nostra è la rivoluzione della
dignità
In Tunisia, il prossimo 23 ottobre si svolgeranno le elezioni che dovranno designare
i membri dell'Assemblea costituente. Si tratta della prima tornata elettorale nel
Paese dalla caduta del regime del presidente Ben Ali, avvenuta il 14 gennaio scorso
in seguito alla cosiddetta "rivoluzione dei gelsomini", dalla quale è scoccata la
scintilla della cosiddetta "primavera araba". Uno dei candidati alle elezioni è Osama
Al Saghir, tunisino residente in Italia e membro dell’Associazione Giovani musulmani
d’Italia. Fabio Colagrande lo ha intervistato:
R. – E’ evidente
che queste elezioni sono importanti per ogni singolo cittadino tunisino: è infatti
la prima volta che avrà il diritto e la libertà di votare il partito che vuole. Ma
che si voti è interesse di tutta la regione, per non dire di tutto il mondo, perché
questo piccolo Paese è stato così importante che sta cambiando il volto di una regione
intera – e parliamo del Mediterraneo – e sta influenzando le sorti di Paesi molto
importanti, come l’Egitto, la Siria, lo Yemen, e sta influenzando anche i rapporti
con tutta l’Europa. La maggior parte delle persone che pensano un futuro davvero libero
e democratico per la Tunisia devono sostenere queste elezioni, altrimenti non ci sarà
un ritorno ad una dittatura, ma ci sarà una specie di “somalizzazione” del Paese.
E questo non è possibile, nessuno può permetterlo. Sono convinto che tutti dovrebbero
appoggiare la le elezioni democratiche in Tunisia.
D. – Perché ha fatto
questa scelta di candidarsi in una delle liste elettorali?
R. – Dopo
tanti anni di lavoro nella società civile italiana, credo che un contributo in questo
senso da parte dei tunisini residenti all’estero sia importante. E l’altro elemento
importante è che quando sono tornato in Tunisia – sono tornato ormai tante volte,
recuperando il tempo perduto negli anni passati quando non mi era permesso farlo –
ho incontrato giovani in tutto il Paese: giovani tunisini con tanta voglia di fare.
E con loro ho capito e abbiamo capito che elemento fondante per la garanzia del futuro
democratico del Paese è costruire una società civile attiva, partecipe, presente.
I giovani vogliono essere una parte importante in questo. Non ci sarà più un ritorno,
nessuna oppressione, nessuna dittatura finché siamo attivi, vigili e presenti e socialmente
attivi positivamente.
D. – Quali sono, invece, i suoi timori in vista
di questo appuntamento elettorale? Ci sono dei rischi?
R. – Avevamo
timori su eventuali ulteriori slittamenti delle elezioni. Ma è evidente che il tunisino
ha bisogno di libertà, ha bisogno di democrazia. Tutta la regione ne ha bisogno. Ciò
che è successo in Libia, la caduta di Gheddafi, ha migliorato le speranze in questo
senso. Adesso siamo quasi certi; speriamo che tutto vada nel migliore dei modi, sicuri
che queste elezioni avverranno. Qualsiasi sarà il risultato, sarà un successo per
tutto il Paese. Quindi, che l’Italia e l’Europa appoggino ora queste elezioni, è davvero
fondamentale.
D. – Cosa risponde a chi teme che la "primavera araba"
possa portare ad una islamizzazione del Maghreb?
R. – Questo non è assolutamente
vero. Nella "primavera araba" tutto il mondo occidentale ha avuto la grande occasione
di conoscere davvero la cultura di queste popolazioni: non è arretrata, non è come
la immaginavano e cioè chiusa e fondamentalista. A Tunisi, chi di voi ci è stato lo
sa, nella via principale della città dove c’è il Ministero degli interni - simbolo
dell’oppressione - ci sono altri due simboli importanti: l’ambasciata francese e,
a 15 metri di distanza, sul lato opposto, una chiesa. L’ambasciata, simbolo di appoggio
alla vecchia dittatura, è tuttora circondata da carri armati e filo spinato, esercito
e polizia. Dall’altra parte c’è la cattedrale, stupenda: sia durante i momenti più
"caldi" della rivoluzione, sia adesso, non c’è nessuna protezione. Le sue porte sono
aperte, non c’è stato un filo spinato messo davanti. Questo è segno di grande maturità,
di grande accettazione delle diversità in questo Paese. Non c’è stato nessun tipo
di estremismo: tutti hanno partecipato positivamente.
D. – Quindi, lei
crede anche nell’importanza del dialogo interreligioso, per portare la democrazia?
R.
– Con questa rivoluzione abbiamo un grande modello, una grande scuola che ha insegnato
a tutti che qui ne va dei diritti dei cittadini, della dignità di ogni persona; la
rivoluzione è stata chiamata in diversi modi: la rivoluzione del pane, la rivoluzione
dei poveri, la rivoluzione del gelsomino. Tutto questo è falso. In realtà, è la rivoluzione
della dignità. Non è la rivoluzione di persone affamate, bensì la rivoluzione di persone
che vogliono vedere riconosciuti i propri diritti, come cittadini. Di conseguenza,
tra i loro diritti ci sono anche le libertà religiose, che siano cristiani o musulmani.
(gf)