2011-10-11 15:23:26

In Egitto, celebrati i funerali di alcuni dei cristiani morti negli scontri con l'esercito


Si temono nuove violenze in Egitto dopo gli scontri, domenica scorsa tra esercito e cristiani copti, che hanno provocato la morte di almeno 36 persone. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha rivolto un appello al popolo egiziano affinché rimanga unito in questa delicata fase di transizione dopo la caduta del regime di Mubarak. Ma perché il Paese continua ad essere scosso da forti tensioni? Fabio Colagrande lo ha chiesto ad Enrico Casale, africanista della Rivista dei Gesuiti Popoli:RealAudioMP3

R. – Non so a chi interessi, ma so chi, in questo momento, ne trae vantaggio, e probabilmente è la giunta militare al potere, perché dal “divide et impera” riesce a trovare una giustificazione per la sua permanenza al potere: mettendo contro la comunità cristiana e la comunità musulmana più integralista si pone come arbitro, e quindi giustifica il suo essere al potere.

D. – Ma possiamo parlare di rischi di uno scontro interreligioso?

R. – Gli scontri che sono avvenuti l’altro ieri al Cairo non hanno visto contrapposti i cristiani ai musulmani, perché all’interno delle file dei cristiani esisteva anche un grosso gruppo di esponenti di un islam moderato, che si sente, anch’esso, schiacciato dal sorgere di questo islamismo più radicale, più integralista, che sta tentando di affermarsi anche in parte con la complicità del governo egiziano.

D. – Esiste un vero pericolo islamista in Egitto?

R. – Esiste, nel senso che se il governo continuerà a lasciare mano libera a queste frange estremiste, queste potrebbero prendere il sopravvento e schiacciare le altre componenti della società. La palla in questo momento è in mano al governo. Si vedrà che cosa vorrà fare il governo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi: se vorrà continuare a soffiare sul fuoco oppure stemperare le tensioni attualmente in atto. (ap)

Restiamo in Egitto, dove ieri sera oltre 20 mila persone hanno partecipato, nella cattedrale copta del Cairo, ai funerali di alcune delle vittime della dura repressione, da parte dell’esercito, della pacifica protesta di cristiani contro l’ennesimo attacco di una chiesa copta nel sud del Paese. Le violenze sono espressione della divisione e dell’odio presenti nella società. E’ quanto sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco il missionario comboniano padre Luciano Verdoscia, da oltre 20 anni al Cairo:RealAudioMP3

R. - L’odio è stato sempre presente, anche se in passato spesso veniva camuffato: ufficialmente si diceva che tutto andava bene e che c’erano degli ottimi rapporti. Forse a livello politico c’erano degli ottimi rapporti tra la Chiesa e il governo, ma le divisioni sono lì: la gente, non avendo istruzione necessaria e essendo povera, l’unica identità che si ritrova è quella religiosa. Se questa identità religiosa viene strumentalizzata dalle ideologie presenti in Medio Oriente, è chiaro che poi gli effetti sono devastanti.

D. - Tra le cause ha indicato questa strategia dell’odio e anche la strumentalizzazione della religione. Il premier egiziano ha detto che nel Paese non si sta verificando solo uno scontro tra musulmani e cristiani ma, piuttosto, un tentativo di provocare il caos…

R. - Può darsi. Io non voglio escludere che ci sia un tentativo di destabilizzare il Paese. Forse un tentativo del vecchio regime, forse per dire: “Ecco, voi avete distrutto un regime e questo è ciò che vi ritrovate”. Forse, però, è anche vero che c’è una cultura all’interno delle masse incitata da gruppi ideologici, religiosi, una cultura che deve essere combattuta. Democrazia non significa dare la possibilità a tutti di dire quello che vogliono quando “quello che vogliono” significa incitare alla violenza, incitare alla discriminazione, incitare all’odio, questo rappresenta un reato.

D. – Bisogna dunque agire a livello culturale. C’è un appello che vuole lanciare agli imam in questo momento così difficile per l’Egitto, affinché prevalga sempre il rispetto delle minoranze…

R. - Posso solamente augurare che si costruisca un clima di tolleranza e di pace. Questo viene fatto, però, col rispetto dell’altro. L’appello lo fare piuttosto ai politici dell’Occidente, che sono chiamati a prendere una posizione e, nello stesso tempo, invitare anche gli altri a creare un clima di pace. Però questo noi lo possiamo fare se abbiamo un’etica. Ma se l’etica non l’abbiamo con quale autorità parliamo?

D. - L’insicurezza, dopo la caduta del regime di Mubarak, e anche il rafforzamento di posizioni sempre più integraliste, alla vigilia delle elezioni di novembre, hanno spinto molti cristiani a lasciare il Paese. Come si ferma questa emorragia?

R. - Secondo me, bisogna lavorare nel Paese. Se noi sappiamo che dobbiamo vivere una nostra missione nel mondo, naturalmente bisogna molto lavorare. Uno dei modi che ho scelto per essere presente è quello di lavorare per l’istruzione: all’interno dei quartieri poveri con i bambini provenienti da famiglie molto bisognose. E questo proprio perché, attraverso l’istruzione, pian piano si può creare una coscienza critica per affrontare la vita. (mg)







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