Si celebra oggi la Giornata Mondiale contro la pena di morte. Nonostante le numerose
iniziative tese a limitare questa pratica, che ha poco a che fare con la civiltà giuridica
e umana, come sospensioni e moratorie, ancor oggi la pena capitale è una piaga che
interroga la coscienza del mondo civile. Giustizia e messa a morte sono termini antitetici.
Perché è difficile ancor oggi affermare questo principio? Giancarlo La Vella
ne ha parlato con Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio:
R. – Io penso
che la pena di morte abbia il fascino delle soluzioni semplificate: dà in pasto all’opinione
pubblica l’idea che si sia forti contro il crimine. In realtà c’è un enorme non rispetto
della vita umana e della giustizia, perché lo Stato si abbassa al livello di chi uccide.
C’è un problema culturale, c’è un problema politico di classi dirigenti, ma si sta
restringendo a livello planetario.
D. - E’ giusto dire che sinché sarà
in uso nelle grandi potenze, come Stati Uniti e Cina, sarà impossibile debellare la
pena di morte?
R. – Io credo che in realtà ci siano due grandi movimenti
di contrazione dell’uso della pena di morte sia in Cina che negli Stati Uniti. La
Cina è forse lo Stato al mondo dove stanno calando più rapidamente le esecuzioni per
motivi tecnici, amministrativi, che hanno tolto alle corti periferiche alcuni poteri
e che stanno restringendo i casi in cui si commina la pena di morte. Quindi, dal punto
di vista materiale, le migliaia di esecuzioni che avvengono ogni anno si stanno riducendo
proprio a causa della Cina. Negli Stati Uniti, ci sono fatti terribili e clamorosi,
come l’uccisione di Troy Davis, ma siamo ad un livello di esecuzioni che rimane tra
i più bassi negli ultimi 15 anni e c’è un forte movimento di opinione che sta crescendo.
Le famiglie delle vittime, in particolare, hanno sempre più peso nel chiedere di non
usare più la pena di morte e Connecticut, California, altri Stati americani potrebbero
andare nella direzione dell’abolizione. Quindi, io credo che ci sia un grande e forte
movimento anche in quei Paesi.
D. – Anche perché non c’è alcuna ricaduta
positiva sul tessuto sociale, a livello di sicurezza, nei Paesi in cui c’è la pena
di morte...
R. – No, la cosa surreale è che non c’è nessun rapporto
tra la curva dei crimini, le curve delle sentenze capitali e la curva delle esecuzioni.
Non c’è nessun rapporto, cioè, tra sicurezza e pena di morte. Credo al contrario che
quando si elimina la pena di morte, per esempio, si avviano percorsi di riconciliazione.
Penso alla Cambogia, al Rwanda, al Burundi, Stati lacerati da guerra civile e genocidio.
D. – Adesso in area europea c’è un Paese che ancora adotta la pena
capitale, l’ultimo: la Bielorussia. Si può fare qualcosa?
R. – L’Unione
Europea in questo è fortemente impegnata all'interno del Consiglio d’Europa. Noi poi
sosteniamo organizzazioni umanitarie che dall’interno lavorano a questo, come è accaduto
in Uzbekistan, in Kazakistan: tutti percorsi che sono stati incoraggiati e sostenuti
dall’esterno. La Bielorussia è un Paese che ha rapporti commerciali sia con l’area
Est che con l’area Ovest eurasiatica. Io spero che troveranno conveniente cambiare.
(ap)