La protesta dei giovani in Italia: manifestazioni contro precariato e disoccupazione
Tagli alle risorse e alla formazione, precariato, disoccupazione, edilizia fatiscente.
Questi i motivi per i quali hanno manifestato in numerose città italiane studenti,
insegnanti, tecnici e amministrativi. Non sono mancati momenti di tensione sia a Roma
che a Milano. Numerosi gli striscioni degli studenti in piazza che riportavano riferimenti
all’economia e espressioni di solidarietà nei confronti di giovani di Paesi in crisi
come la Grecia e la Spagna. “Non è il nostro debito, non è la nostra crisi”: questo
uno degli slogan “espressione di qualcosa di più profondo”, spiega il sociologo Mario
Pollo al microfono di Gabriella Ceraso:
R. –
Al di là che queste frasi magari siano state sentite in altri contesti e così via,
di fatto esprimono l’esito inevitabile che nella nostra società, per poter mantenere
un certo livello di vita nel presente, si sia trasferito un debito sul futuro - non
solo il debito degli Stati – connesso al fatto che ormai da almeno un paio di decenni
o forse tre, le nuove generazioni non siano state più concepite come il futuro, come
coloro a cui affido la mia storia, perché la portino avanti. Quindi, sui giovani non
si investe e al massimo si cerca di farli vivere bene, di tutelarli. E’ chiaro che
i giovani percepiscono che questo elemento viene ad una resa dei conti.
D.
– Questo fatto di richiamarsi a studenti anche molto lontani e molto diversi da quelli
italiani - dal Cile alla Spagna alla Grecia - è un aspetto tipicamente giovanile in
un momento di disagio oppure – parlo per esempio del fenomeno degli “Indignados” –
è un nuovo fenomeno di massa, in risposta alla crisi che sta accumunando il mondo?
R.
– Credo che la globalizzazione abbia reso evidente che nessun uomo è un’isola: ci
si sente parte di una stessa rete. Quindi, queste proteste sono indicatori di malessere,
ma a mio avviso da lì non può nascere una trasformazione, come dimostra la cosiddetta
“primavera araba”, che è stata un grande movimento, ma che non è riuscita a produrre
nessun significativo cambiamento nel Paese in cui si è manifestata, perché questo
deve nascere ad un altro livello. Purtroppo, per adesso, i segni di movimenti, capaci
di innescare nuove prospettive, una nuova visione della realtà, capace di cambiarla,
non ne vedo all’orizzonte. Io credo che le vie per affrontare queste grandi crisi
mondiali non siano né i moti di piazza né le rivoluzioni, ma sia una trasformazione
dei sistemi dall’interno, centrata su valori che, in questi ultimi decenni, sono stati
dimenticati, messi da parte. (ap)