Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
In questa 28.ma Domenica del Tempo ordinario la liturgia ci presenta il passo del
Vangelo in cui Gesù paragona il regno dei cieli a un re che fa una festa di nozze
per suo figlio, ma gli invitati si rifiutano di andare. Allora ne invita altri, buoni
e cattivi, e la sala delle nozze si riempie di commensali. Ma un uomo non indossa
l’abito nuziale. Il re ordina ai servi:
“’Legatelo mani e piedi e gettatelo
fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti’. Perché molti sono chiamati,
ma pochi eletti”.
Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del
padre carmelitano Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia
Università Gregoriana:
Siamo nel
contesto del Tempio di Gerusalemme, e attorno a Gesù si trama per ingannarlo e accusarlo.
Egli non teme gli intrighi, e anzi reagisce, mostrando, con la serie di parabole che
ascoltiamo in queste domeniche, che chi lo ostacola e lo disprezza sta giocando contro
se stesso. La convivialità alla quale i primi invitati si rifiutano, anche con violenza,
segnala l’incapacità di accettare un’amicizia, di far festa con Dio. La venuta del
suo Figlio sulla terra non significa che è venuto a comandare e giudicare, a vietare
e imporre: ma a far festa con l’umanità, a condividere le nostre speranze e le nostre
fatiche. Dio ci vuole suoi commensali: e non si scoraggia se quelli che erano i primi
poi si rifiutano. La sala deve essere piena, e se qualcuno si chiude e si rifiuta,
questa è l’occasione di rompere schemi ed emarginazioni. Attorno al suo Figlio prenderanno
posto altri, buoni e cattivi, vicini e lontani; l’unica condizione richiesta è la
conversione del cuore (rappresentata dall’abito nuziale del Battesimo). Anche oggi
molti sembrano non aver voglia di esserci al banchetto della grande festa: o perché
rinchiusi in cenacoli per pochi privilegiati, o perché non hanno voglia di mettersi
la veste bella, cioè di riconoscere il dono dell’invito e adeguarsi con stile pulito.
Non basta essere invitati: occorre essere convertiti e costantemente vigilanti.