Australia: drammatiche le condizioni delle donne detenute
“L’attuale situazione di affollamento delle carceri in Australia impone una seria
riflessione sui fattori sociali che condizionano le persone che compiono dei crimini”:
è quanto sottolinea mons. Christopher Alan Saunders, vescovo di Broome e presidente
dell’Australian Catholic Social Justice Council (Acsjc) che, per conto della Conferenza
episcopale australiana (Acbc), ha curato un documento, intitolato “Building Bridges
Not Walls” sulla popolazione carceraria. In un articolo apparso sul sito in rete dell’arcidiocesi
di Sydney per la ricorrenza della Social Justice Sunday, che è stata celebrata dai
cattolici d’Australia domenica scorsa, il presule spiega che l’aumento del numero
delle persone detenute richiede maggiore attenzione per scoprire, al di là dei singoli
casi, le cause sociali che sono alla radice del fenomeno. “Spesso i nostri politici
e alcuni organi d’informazione invocano maggiore durezza nell’applicazione delle leggi
per combattere la criminalità senza però mai indagare sui motivi generali che spingono
sempre più persone a commettere alcuni reati”. Nel documento “Building Bridges Not
Walls”, oltre alle statistiche sulla popolazione carceraria, sono pubblicate anche
le relazioni inviate dai cappellani che operano all’interno degli istituti di pena.
Tra i testimoni di quanto sia avvilente la situazione dei detenuti vi è Margaret Wiseman,
l’unica donna laica a essere membro dell’associazione dei cappellani delle carceri
nell’arcidiocesi di Sydney. Molte delle donne detenute sono cresciute in famiglie
povere e spesso disgregate. “Benché le donne detenute siano solo una piccola percentuale
del totale della popolazione carceraria australiana, spesso sono più isolate e più
colpite dal senso di esclusione sociale rispetto ai detenuti uomini”. “Molte donne
prigioniere sono completamente abbandonate e nessuno viene mai a visitarle”. “Tante,
pur avendo diversi figli, sono state abbandonate dai mariti e alle loro spalle non
vi è più alcuna relazione stabile”. Passano in prigione — conclude Margaret Wiseman
le cui parole sono state riprese dall’Osservatore Romano — una parte della loro vita
vivendo in celle anguste che devono condividere con altre detenute. (A.L.)