Al Consiglio di sicurezza si discute la candidatura palestinese
Dopo l’approvazione di massima, da parte di Israele, del processo di pace stilato
dal Quartetto dei mediatori per il Medio Oriente, cioè Onu, Unione Europea, Stati
Uniti e Russia, lo Stato ebraico ha annunciato la realizzazione di nuovi insediamenti,
proprio mentre da domani al Consiglio di Sicurezza dell’Onu si discute la candidatura
della Palestina alle Nazioni Unite, dove sembrano esserci almeno otto membri non permanenti
favorevoli. Su questi aspetti, Giancarlo La Vella ha raccolto l’analisi di
Giorgio Bernardelli, esperto di Medio Oriente:
R. - L’ingresso
della Palestina all’Onu è una partita che si sta giocando su diversi piani. C’è la
questione della domanda ufficiale, presentata al Consiglio di Sicurezza, che sta andando
avanti con le sue procedure, procedure che però, già non immediate di per sé, andranno
poi a rilento anche per il tentativo – soprattutto da parte degli Stati Uniti – di
evitare di arrivare ad utilizzare il diritto di veto e quindi di evitare di doversi
esporre nei confronti dell’opinione pubblica dei Paesi arabi. Teniamo presente che
serve, comunque, una maggioranza di nove voti per avere il “sì” del Consiglio di Sicurezza
e, in questo momento, la Palestina non ce li ha ancora. Parallelamente a tutto questo,
sta andando avanti anche il tentativo del Quartetto di rimettere attorno al tavolo
dei negoziati gli israeliani e i palestinesi, ma questo è un tentativo tutto in salita.
D.
- Quali sono i punti di base del piano di pace stilato del Quartetto su cui sembra
ci sia stata un’approvazione di massima israeliana?
R. - Il piano del
Quartetto è molto vago: non si va oltre la questione di una ripresa del negoziato.
Ci sono, è vero, delle scadenze, nel senso che entro tre mesi ci sarebbe un impegno
a portare le proposte sul tavolo per quanto riguarda la definizione dei confini, però
questo è un tema sul quale le parti sono talmente lontane che, senza un forte arbitrato
da parte della comunità internazionale, è impensabile un accordo. Dall’altra parte,
i palestinesi ripetono comunque la loro condizione: non negozieranno sinché non ci
sarà un congelamento dell’espansione degli insediamenti, cosa che Israele non accetta.
D.
- Proprio su questo aspetto, l’argomento degli insediamenti sembra essere usato da
Israele sia nei confronti della comunità internazionale sia nei confronti dei palestinesi
stessi…
R. - Qui si gioca sostanzialmente su un’ambiguità di fondo.
Per la legge israeliana gli insediamenti e le costruzioni all’interno di Gerusalemme
est sono due cose diverse. Mentre Gerusalemme est è un territorio dello Stato israeliano
a pieno titolo, gli insediamenti, invece, hanno uno status giuridico particolare e
questi di Ghilo – di cui si parla in queste ore – sono di Gerusalemme est. In queste
ore Netanyahu sta quindi rispondendo alle obiezioni, dicendo che questi non sono insediamenti
ma trattasi della normale espansione della città di Gerusalemme. La verità è che,
ancora una volta, siamo di fronte all’ambiguità di questo processo di pace, perché
è evidente che c’è una “questione-Gerusalemme” che, prima o poi, bisognerà mettere
al centro dell’attenzione. (vv)