Africa, resta alto l’allarme per il terrorismo di matrice islamica
In Africa, si sono moltiplicate negli ultimi mesi le segnalazioni di azioni terroristiche,
e nelle scorse settimane anche il generale Carter Ham, responsabile del comando statunitense
nel continente, ha richiamato l’attenzione sui fondamentalisti di Al Qaeda nel Maghreb
islamico, gli Shabaab somali e la setta nigeriana "Boko Haram". Davide Maggiore ha
chiesto a Mario Giro, responsabile delle relazioni internazionali della comunità di
Sant'Egidio, un’opinione sulle proporzioni del fenomeno:
R. – Al Qaeda
nel Maghreb islamico è una vecchia conoscenza di chi conosce il Sahel. Loro sono già
internazionalizzati, ma si tratta di alcune centinaia di uomini di cui si conoscono
abbastanza bene i contorni, si conoscono i nomi: sono nascosti nella zona a sud dell’Algeria,
verso il Mali, adesso anche verso il Niger. Vivono di rapimenti e questo crea un’instabilità
nella zona. Non bisogna però sovrastimare la capacità di questi gruppi. Gli Shabaab
sono l’ultimo prodotto della tragica guerra civile somala e fanno parte dell’involuzione
in cui è caduta la Somalia da vari anni. "Boko Haram" è un fenomeno più recente, l’ultimo
prodromo di questo estremismo islamico di matrice nigeriana e a questo punto, forse,
in parte fuori controllo.
D. – Che rapporti hanno questi movimenti con
la rete di al Qaeda propriamente detta?
R. – E’ difficile stabilirlo.
Più che un’unità di strategia mi sembra che sia piuttosto un richiamarsi a un’ideologia
ma non mi sembra che ci possa essere almeno da quello che si vede un’unità operativa.
Il fatto che esistano questi pericoli per la stabilità di intere aree - parliamo della
Nigeria, del Sahel del Corno d’Africa - era qualcosa che già si sapeva.
D.
– Si è detto che con la "primavera araba" il progetto ideologico jihadista è fallito.
Questo vale anche per il contesto africano?
R. – Io direi di sì. La
"primavera araba" era stata preceduta da una "primavera africana", in realtà. In Africa
abbiamo avuto transizioni democratiche che hanno dimostrato che è possibile andare
verso la democrazia in maniera non violenta. Il fenomeno jihadista è in perdita di
velocità. Certo, può fare ancora molto del male però è chiaro che nella testa e nell’immaginario
della gioventù africana musulmana, così come in quella araba, oggi la parte vincente
è quella che va verso una democrazia. Naturalmente una democrazia endogena, con un
passaggio lento e progressivo, però questo fa ben sperare.
D. – Il passaggio
di poteri in aree come Libia e Egitto non rischia di favorire i movimenti jihadisti
dal punto di vista operativo?
R. – Sicuramente ci sono i passaggi di
armi. Lo svuotamento delle caserme ha messo in circolo molte armi, quindi noi vedremmo
a breve termine una capacità operativa di armi probabilmente cresciuta. Io mi aspetto
piuttosto che queste armi provochino altre ribellioni interne tipo quelle tuareg o
di altre tribù seminomadi nell’area. (bf)