L'Egitto si prepara alle prime elezioni del dopo Mubarak
In Egitto il prossimo 28 novembre si voterà per la camera bassa del parlamento, il
29, invece, per la Shura, la camera alta. Secondo fonti della sicurezza, la prima
seduta dell’Assemblea del popolo si terrà il 17 marzo 2012. Qual è lo scenario politico
del Paese? Risponde Ennio Di Nolfo, esperto di questioni internazionali, al
microfono di Davide Maggiore:
R. - E’ evidente
che esiste una lotta tra tre forze: la forza della conservazione, che si appoggia
principalmente sull’esercito, i partiti moderati nazionalisti - tutte forze che hanno
una connotazione laica - e i Fratelli Musulmani che hanno una forza crescente. A mio
parere, però, i Fratelli Musulmani saranno una forte minoranza e la vittoria andrà
al raggruppamento che, inevitabilmente, verrà formato tra l’esercito e i partiti democratici
moderati.
D. - Di quanto seguito gode ancora il partito dell’ex presidente
Mubarak?
R. - In questo momento i suoi sostenitori sono tecnicamente
emarginati. Credo, tuttavia che, siccome Mubarak è l’espressione dell’esercito, prima
o poi qualcuno prenderà il suo posto e acquisterà un’importanza dominante in Egitto.
Non credo nell’evoluzione democratica rapida di questo Paese, credo in un’evoluzione
democratica lentissima.
D. - Che ruolo giocheranno i movimenti islamici?
R.
- Credo che i fratelli musulmani avranno per il momento un ruolo molto importante,
anche perché sono stati una delle forze che ha portato alla rivoluzione o al cambiamento,
se non si vuole usare la parola “rivoluzione”. Questi partiti connotati dall’islamismo,
però, non hanno dinanzi a sé un avvenire di grande espansione, piuttosto un avvenire
di radicamento sociale importante, ma di decrescente influenza, perché l’Egitto è
un Paese che si avvia sulla strada della modernizzazione e o i Fratelli musulmani
cambiano il loro atteggiamento verso questi temi oppure sono destinati a declinare.
D. - L’attentato al gasdotto del Sinai avvenuto ieri, il sesto in
un mese, riporta in primo piano il problema della sicurezza in una zona cruciale per
l’intera regione...
R. - Se è vero che il Sinai è praticamente diventato
terra di nessuno, perché mancano le risorse militari e finanziarie per controllare
il territorio, un attentato in questa regione è quanto di più facile si possa immaginare.
Questo mi pare sia uno dei temi più drammatici, reso più acuto dal fatto che Abu Mazen
abbia posto il problema del riconoscimento internazionale dello Stato palestinese,
che correlato alla situazione egiziana non può fare altro che porre una serie d’interrogativi
sulla possibilità che i rapporti tra Egitto e Israele e la situazione mediorientale
in generale si stabilizzino per il meglio.
D. - Un’organizzazione non
governativa egiziana ha denunciato che dall’inizio dell’anno oltre 70 mila copti sono
fuggiti dal Paese. Quali considerazioni si possono fare?
R. - Mi pare
che la politica di controllo delle minoranze sia stata una caratteristica di questo
regime, enfatizzata dalla crescente - per il momento - influenza dei Fratelli Musulmani,
ma che sia soltanto il riflesso sociale delle convulsioni che agitano il Paese. (ap)