Il Papa durante la Santa Messa a Friburgo: la Parola di Gesù deve farci riflettere,
deve scuotere tutti noi
Nella spianata dell’aeroporto turistico di Friburgo si è tenuta la Santa Messa presieduta
dal Santo Padre. Alla celebrazione hanno partecipato oltre 100 mila fedeli. Di seguito
l’omelia:
Cari fratelli e sorelle! Per me è emozionante celebrare
qui, ancora una volta, l’Eucaristia, il Ringraziamento, con tanta gente proveniente
da diverse parti della Germania e dai Paesi confinanti. Vogliamo rivolgere il nostro
ringraziamento soprattutto a Dio, nel quale viviamo e ci muoviamo. Ma vorrei ringraziare
anche voi tutti per la vostra preghiera a favore del Successore di Pietro, affinché
egli possa continuare a svolgere il suo ministero con gioia e fiduciosa speranza e
confermare i fratelli nella fede. “O Dio, che riveli la tua onnipotenza
soprattutto con la misericordia e il perdono…”, abbiamo detto nella colletta del giorno.
Nella prima lettura abbiamo ascoltato come Dio nella storia di Israele ha manifestato
il potere della sua misericordia. L’esperienza dell’esilio babilonese aveva fatto
cadere il popolo in una crisi di fede: perché era sopravvenuta questa sciagura? Forse
Dio non era veramente potente? Ci sono teologi che, di fronte a tutte le
cose terribili che avvengono oggi nel mondo, dicono che Dio non può essere onnipotente.
Di fronte a questo, noi professiamo Dio, l’Onnipotente, il Creatore del cielo e della
terra. Noi siamo lieti e riconoscenti che Egli sia onnipotente. Ma dobbiamo, al contempo,
renderci conto che Egli esercita il suo potere in maniera diversa da come gli uomini
sogliono fare. Egli stesso ha posto un limite al suo potere, riconoscendo la libertà
delle sue creature. Noi siamo lieti e riconoscenti per il dono della libertà. Tuttavia,
quando vediamo le cose tremende, che a causa di essa avvengono, ci spaventiamo. Fidiamoci
di Dio, il cui potere si manifesta soprattutto nella misericordia e nel perdono. E
siamo certi, cari fedeli: Dio desidera la salvezza del suo popolo. Desidera la nostra
salvezza. Sempre, e soprattutto in tempi di pericolo e di cambiamento radicale, Egli
ci è vicino, il suo cuore si commuove per noi, si china su di noi. Affinché il potere
della sua misericordia possa toccare i nostri cuori, ci vuole l’apertura a Lui, occorre
la disponibilità di abbandonare il male, di alzarsi dall’indifferenza e di dare spazio
alla sua Parola. Dio rispetta la nostra libertà. Egli non ci costringe. Gesù
nel Vangelo riprende questo tema fondamentale della predicazione profetica. Racconta
la parabola dei due figli che sono invitati dal padre a lavorare nella vigna. Il primo
figlio rispose: “«Non ne ho voglia»; ma poi, pentitosi, ci andò” (Mt 21,29). L’altro,
invece, disse al padre: “«Sì, signore», ma non andò” (Mt 21,30). Alla domanda di Gesù,
chi dei due abbia compiuto la volontà del padre, gli ascoltatori rispondono: “Il primo”
(Mt 21,31). Il messaggio della parabola è chiaro: non contano le parole, ma l’agire,
le azioni di conversione e di fede. Gesù rivolge questo messaggio ai sommi sacerdoti
e agli anziani del popolo, cioè agli esperti di religione nel popolo di Israele. Essi,
prima, dicono “sì” alla volontà di Dio. Ma la loro religiosità diventa routine, e
Dio non li inquieta più. Per questo avvertono il messaggio di Giovanni Battista e
il messaggio di Gesù come un disturbo. Così, il Signore conclude la sua parabola con
parole drastiche: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.
Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i
pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto
queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli” (Mt 21,31-32).
Tradotta nel linguaggio del nostro tempo, l’affermazione potrebbe suonare più o meno
così: agnostici, che a motivo della questione su Dio non trovano pace; persone che
soffrono a causa dei nostri peccati e hanno desiderio di un cuore puro, sono più vicini
al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli “di routine”, che nella Chiesa vedono
ormai soltanto l’apparato, senza che il loro cuore sia toccato dalla fede. Così,
la parola di Gesù deve far riflettere, anzi, deve scuotere tutti noi. Questo, però,
non significa affatto che tutti coloro che vivono nella Chiesa e lavorano per essa
siano da valutare come lontani da Gesù e dal Regno di Dio. Assolutamente no! No, piuttosto
è questo il momento per dire una parola di profonda gratitudine ai tanti collaboratori
impiegati e volontari, senza i quali la vita nelle parrocchie e nell’intera Chiesa
sarebbe impensabile. La Chiesa in Germania ha molte istituzioni sociali e caritative,
nelle quali l’amore per il prossimo viene esercitato in una forma anche socialmente
efficace e fino ai confini della terra. A tutti coloro che si impegnano nella Caritas
tedesca o in altre organizzazioni, oppure che mettono generosamente a disposizione
il loro tempo e le loro forze per incarichi di volontariato nella Chiesa, vorrei esprimere
la mia gratitudine e il mio apprezzamento. Tale servizio richiede innanzitutto una
competenza oggettiva e professionale. Ma nello spirito dell’insegnamento di Gesù ci
vuole di più: il cuore aperto, che si lascia toccare dall’amore di Cristo, e così
dà al prossimo, che ha bisogno di noi, più che un servizio tecnico: l’amore, in cui
all’altro si rende visibile il Dio che ama, Cristo. Allora interroghiamoci: come è
il mio rapporto personale con Dio, nella preghiera, nella partecipazione alla Messa
domenicale, nell’approfondimento della fede mediante la meditazione della Sacra Scrittura
e lo studio del Catechismo della Chiesa Cattolica? Cari amici, il rinnovamento della
Chiesa, in ultima analisi, può realizzarsi soltanto attraverso la disponibilità alla
conversione e attraverso una fede rinnovata. Nel Vangelo di questa Domenica
si parla di due figli, dietro i quali, però, sta, in modo misterioso, ancora un terzo
figlio. Il primo figlio dice di sì, ma non fa ciò che gli è stato ordinato. Il secondo
figlio dice di no, ma compie poi la volontà del padre. Il terzo figlio dice di “sì”
e fa anche ciò che gli viene ordinato. Questo terzo figlio è il Figlio unigenito di
Dio, Gesù Cristo, che ci ha tutti riuniti qui. Gesù, entrando nel mondo, ha detto:
“Ecco, io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,7). Questo “sì”, Egli
non l’ha solo pronunciato, ma anche compiuto. Nell’inno cristologico della seconda
lettura si dice: “Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio
l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando
simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi
obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2, 6-8). In umiltà ed obbedienza,
Gesù ha compiuto la volontà del Padre, è morto sulla croce per i suoi fratelli e le
sue sorelle e ci ha redenti dalla nostra superbia e caparbietà. Ringraziamolo per
il suo sacrificio, pieghiamo le ginocchia davanti al suo Nome e proclamiamo insieme
con i discepoli della prima generazione: “Gesù Cristo è il Signore – a gloria di Dio
Padre” (Fil 2,10). La vita cristiana deve misurarsi continuamente su Cristo:
“Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5), scrive san Paolo
nell’introduzione all’inno cristologico. Qualche versetto prima, egli esorta: “Se
dunque c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità,
se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione,
rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo
unanimi e concordi” (Fil 2,1-2). Come Cristo era totalmente unito al Padre ed obbediente
a Lui, così i suoi discepoli devono obbedire a Dio ed avere un medesimo sentire tra
loro. Cari amici, con Paolo oso esortarvi: rendete piena la mia gioia con l’essere
saldamente uniti in Cristo! La Chiesa in Germania supererà le grandi sfide del presente
e del futuro e rimarrà lievito nella società, se i sacerdoti, le persone consacrate
e i laici credenti in Cristo, in fedeltà alla propria vocazione specifica, collaborano
in unità; se le parrocchie, le comunità e i movimenti si sostengono e si arricchiscono
a vicenda; se i battezzati e cresimati, in unione con il Vescovo, tengono alta la
fiaccola di una fede inalterata e da essa lasciano illuminare le loro ricche conoscenze
e capacità. La Chiesa in Germania continuerà ad essere una benedizione per la comunità
cattolica mondiale, se rimane fedelmente unita con i Successori di san Pietro e degli
Apostoli, se cura in molteplici modi la collaborazione con i Paesi di missione e si
lascia anche “contagiare” in questo dalla gioia nella fede delle giovani Chiese. Con
l’esortazione all’unità, Paolo collega il richiamo all’umiltà: “Non fate nulla per
rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri
superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli
altri” (Fil 2,3-4). L’esistenza cristiana è una pro-esistenza: un esserci per l’altro,
un impegno umile per il prossimo e per il bene comune. Cari fedeli, l’umiltà è una
virtù che oggi non gode di grande stima. Ma i discepoli del Signore sanno che questa
virtù è, per così dire, l’olio che rende fecondi i processi di dialogo, facile la
collaborazione e cordiale l’unità. Humilitas, la parola latina per “umiltà”, ha a
che fare con humus, cioè con l’aderenza alla terra, alla realtà. Le persone umili
stanno con ambedue i piedi sulla terra. Ma soprattutto ascoltano Cristo, la Parola
di Dio, la quale rinnova ininterrottamente la Chiesa ed ogni suo membro. Chiediamo
a Dio il coraggio e l’umiltà di camminare sulla via della fede, di attingere alla
ricchezza della sua misericordia e di tenere fisso lo sguardo su Cristo, la Parola
che fa nuove tutte le cose, che per noi è “la via, la verità e la vita” (Gv
14,6), che è il nostro futuro. Amen.