2011-09-24 14:58:33

A Sarajevo il cardinale Amato beatifica cinque suore "Martiri della Drina”


Si è svolta questa mattina a Sarajevo, in Bosnia-Erzegovina, la Beatificazione delle cinque suore conosciute come “Martiri della Drina”, uccise durante la guerra civile jugoslava nel 1941. Alla cerimonia, in rappresentanza del Santo Padre, c’era il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Roberta Barbi:RealAudioMP3

“Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Erano chicchi di grano suor Jula, suor Berchmana, suor Krizina, suor Antonija e suor Bernadeta, le cinque consorelle della Congregazione delle Figlie della Divina Carità brutalmente uccise dalla ferocia dell’uomo in guerra. E proprio come dice Gesù nel Vangelo di Giovanni, il loro sangue sparso è stato il seme per nuove vocazioni spirituali, per una fede cristiana più consapevole e responsabile. Ma ancora prima di diventare le “Martiri della Drina” le loro vite, illuminate dal Signore, erano già germogliate nell’ospizio dei poveri in cui si prendevano cura degli ammalati, dei profughi e degli indigenti, e dove sfamavano e insegnavano agli orfani, indipendentemente dalla loro provenienza. Virtù che sottolinea anche il cardinale Amato:

“Queste martiri, queste suore sono portatrici di quelle che io chiamerei le ‘virtù forti’, e cioè il coraggio, la castità, la bontà. Queste virtù forti indicano robustezza di fede e forte volontà di sopportazione nel soffrire, nello sperare e nell’amare. Risiede in ciò il messaggio che lasciano alla Chiesa di Bosnia-Erzegovina e a tutta la Chiesa, le Martiri della Drina”.

Suor Jula, la Madre superiora, era croata, suor Berchmana, la più anziana del gruppo, insegnante coscienziosa, veniva dall’Austria. Poi suor Krizina e suor Antonija, slovene, entusiaste della vita religiosa e sempre pronte ad aiutare le altre, e suor Bernadeta, la più giovane, di nazionalità ungherese, addetta al servizio della mensa, non avevano voluto lasciare il loro convento nella cittadina di Pale, nonostante il pericolo sempre più vicino. Era l’11 dicembre quando i Chetniki serbi fecero irruzione e le costrinsero a marciare per quattro giorni, una Via Crucis nel vento e nella neve fino all’arrivo al loro Golgota, Goradze. Qui rifiutarono di sottoporsi all’umiliazione più grande: spogliarsi della propria fede e della propria verginità. Furono percosse, tentarono di trovare scampo gettandosi dalla finestra, furono finite a coltellate e i loro corpi buttati nel fiume Drina. Suor Berchmana, che era stata lasciata indietro perché spossata dal cammino, condivise la loro sorte appena qualche giorno dopo, subendo anche lei il martirio. Afferma il cardinale Angelo Amato:

“Queste martiri ci dicono che c’è nella storia l’eterna lotta tra Dio, fonte di vita, e il nemico di Dio, il serpente antico, fonte di inimicizia e di morte. Queste cinque consacrate beatificate oggi dimostrano che si può resistere al male anche a mani nude, forti solo della propria fede. Si può vincere il male, anche lasciandosi colpire, ma non cedendo alle minacce”.

Probabilmente non siamo chiamati al martirio, ma certamente tutti siamo chiamati alla santità, ha rammentato Benedetto XVI: “Il martire è una persona libera che in un unico atto definitivo dona a Dio tutta la sua vita […] sacrifica la propria vita per essere associato in modo totale al sacrificio di Cristo sulla croce”. (Udienza generale dell’11 agosto 2010). Una risposta d’amore, quindi, all’immenso amore di Dio, come ricorda anche il cardinale Amato:

“I martiri muoiono, ma fanno rifiorire la vera umanità. All’inferno creato dall’uomo, con i lager, i gulag, i laogai, le guerre, il martire risponde con il richiamo del paradiso, della pace tra i popoli, della comunione fraterna”.







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