A Sarajevo il cardinale Amato beatifica cinque suore "Martiri della Drina”
Si è svolta questa mattina a Sarajevo, in Bosnia-Erzegovina, la Beatificazione delle
cinque suore conosciute come “Martiri della Drina”, uccise durante la guerra civile
jugoslava nel 1941. Alla cerimonia, in rappresentanza del Santo Padre, c’era il cardinale
Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Roberta
Barbi:
“Se il chicco
di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.
Erano chicchi di grano suor Jula, suor Berchmana, suor Krizina, suor Antonija e suor
Bernadeta, le cinque consorelle della Congregazione delle Figlie della Divina Carità
brutalmente uccise dalla ferocia dell’uomo in guerra. E proprio come dice Gesù nel
Vangelo di Giovanni, il loro sangue sparso è stato il seme per nuove vocazioni spirituali,
per una fede cristiana più consapevole e responsabile. Ma ancora prima di diventare
le “Martiri della Drina” le loro vite, illuminate dal Signore, erano già germogliate
nell’ospizio dei poveri in cui si prendevano cura degli ammalati, dei profughi e degli
indigenti, e dove sfamavano e insegnavano agli orfani, indipendentemente dalla loro
provenienza. Virtù che sottolinea anche il cardinale Amato:
“Queste
martiri, queste suore sono portatrici di quelle che io chiamerei le ‘virtù forti’,
e cioè il coraggio, la castità, la bontà. Queste virtù forti indicano robustezza di
fede e forte volontà di sopportazione nel soffrire, nello sperare e nell’amare. Risiede
in ciò il messaggio che lasciano alla Chiesa di Bosnia-Erzegovina e a tutta la Chiesa,
le Martiri della Drina”.
Suor Jula, la Madre superiora, era croata,
suor Berchmana, la più anziana del gruppo, insegnante coscienziosa, veniva dall’Austria.
Poi suor Krizina e suor Antonija, slovene, entusiaste della vita religiosa e sempre
pronte ad aiutare le altre, e suor Bernadeta, la più giovane, di nazionalità ungherese,
addetta al servizio della mensa, non avevano voluto lasciare il loro convento nella
cittadina di Pale, nonostante il pericolo sempre più vicino. Era l’11 dicembre quando
i Chetniki serbi fecero irruzione e le costrinsero a marciare per quattro giorni,
una Via Crucis nel vento e nella neve fino all’arrivo al loro Golgota, Goradze. Qui
rifiutarono di sottoporsi all’umiliazione più grande: spogliarsi della propria fede
e della propria verginità. Furono percosse, tentarono di trovare scampo gettandosi
dalla finestra, furono finite a coltellate e i loro corpi buttati nel fiume Drina.
Suor Berchmana, che era stata lasciata indietro perché spossata dal cammino, condivise
la loro sorte appena qualche giorno dopo, subendo anche lei il martirio. Afferma il
cardinale Angelo Amato:
“Queste martiri ci dicono
che c’è nella storia l’eterna lotta tra Dio, fonte di vita, e il nemico di Dio, il
serpente antico, fonte di inimicizia e di morte. Queste cinque consacrate beatificate
oggi dimostrano che si può resistere al male anche a mani nude, forti solo della propria
fede. Si può vincere il male, anche lasciandosi colpire, ma non cedendo alle minacce”.
Probabilmente
non siamo chiamati al martirio, ma certamente tutti siamo chiamati alla santità, ha
rammentato Benedetto XVI: “Il martire è una persona libera che in un unico atto definitivo
dona a Dio tutta la sua vita […] sacrifica la propria vita per essere associato in
modo totale al sacrificio di Cristo sulla croce”. (Udienza generale dell’11 agosto
2010). Una risposta d’amore, quindi, all’immenso amore di Dio, come ricorda anche
il cardinale Amato:
“I martiri muoiono, ma fanno rifiorire la vera umanità.
All’inferno creato dall’uomo, con i lager, i gulag, i laogai, le guerre, il martire
risponde con il richiamo del paradiso, della pace tra i popoli, della comunione fraterna”.