Mons. Shomali sulla Palestina: con il riconoscimento all'Onu dello status di Paese
non membro, più uguaglianza nei negoziati israelo-palestinesi
Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha reso noto che verrà
presentata venerdì prossimo la richiesta all’Onu del riconoscimento dello Stato palestinese.
L’istanza, su cui grava il possibile veto degli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza,
porterà probabilmente al riconoscimento, per la Palestina, dello status di
Paese "non membro". Un traguardo che avrà rilevanti effetti sottolinea, al microfono
di Amedeo Lomonaco, il vescovo ausiliare di Gerusalemme, mons. William
Shomali:
R. - I palestinesi
capiscono che, essendo uno Stato non membro, possono essere membri di altre organizzazioni
internazionali e possono anche ricorrere alla Corte penale internazionale (Cpi) in
caso di aggressione contro lo Stato. In caso ad esempio di insediamenti illegali o
aggressione di ogni tipo possono, dunque, ricorrere a questa Corte internazionale.
Oggi questo non è possibile, non avendo la Palestina lo status di Stato.
D.
- La richiesta palestinese rientra anche in un negoziato che, oltre al riconoscimento
dello Stato di Palestina, mira poi a sciogliere nodi, questioni intricate, come il
ripristino dei confini antecedenti il giugno 1967 e la definizione dello status di
Gerusalemme. Ci sono oggi le premesse per arrivare gradualmente ad appianare queste
controversie?
R. - Non penso. La comunità internazionale dovrebbe aiutare
i palestinesi e gli israeliani ad avere una piattaforma chiara per i futuri negoziati.
Se questi negoziati hanno fallito finora, è proprio perché mancava una base chiara
per il confronto. Questa piattaforma dovrebbe essere in accordo con la legge internazionale
e con le risoluzioni delle Nazioni Unite. E qui gli Stati Uniti possono aiutare molto.
Noi contiamo su un intervento oggettivo da parte loro.
D. - Il premier
israeliano, Benjamin Netanyahu,ha detto di essere “interessato” a un
incontro con il presidente palestinese, Abu Mazen, proprio a margine dei lavori dell’Assemblea
generale dell’Onu. Il riconoscimento dello Stato palestinese può essere un passo cruciale
per garantire pace e stabilità?
R. - Probabilmente, quando la Palestina
diventerà uno Stato non membro sarà questo riconoscimento già una promozione. Sarà
come il Vaticano (che all'Onu ha lo status di Stato non membro)… Sarà per i palestinesi
già una promozione. Possono avere, dunque, nei negoziati più forza, più uguaglianza
e più rispetto, perché il mondo ha deciso: c’è l’appoggio della comunità internazionale
e questo farà pressione su Israele, perché accetti una piattaforma più legale e internazionale.
D.
- Da diversi anni, il negoziato israelo-palestinese è in una fase di stallo. Quali
effetti può determinare l’eventuale nascita di uno Stato palestinese nel complesso
contesto regionale arabo, ancora in fermento per la cosiddetta “primavera araba”?
R.
- Bisogna attendere il futuro con speranza. Qualcosa si sta muovendo nel mondo arabo:
c’è un popolo che non ha paura di scendere in strada e chiedere la libertà. Tutti
vogliono la libertà e oggi non è più un tabù il chiederla. Questo può far riflettere
le potenze europee e gli Stati Uniti, perché non possono andare contro la volontà
di un popolo, quando questa volontà è legittima.
D. - C’è poi il destino
della comunità cristiana di Terra Santa, che dipende anche dall’evoluzione del processo
di pace israelo-palestinese. Come vede la Chiesa di Gerusalemme la richiesta del riconoscimento
di uno Stato palestinese?
R. - Pensiamo che la soluzione di due Stati
promuova la pace e la giustizia in Terra Santa fra palestinesi e israeliani, avendo
ciascuno il suo Stato con frontiere chiare, in base alla legge internazionale. Abbiamo
esortato a rispettare lo status particolare per Gerusalemme, che sarà città per tre
religioni e due popoli. (ap)