2011-09-19 17:40:53

Somalia, una carestia lunga un anno


RealAudioMP3 ‘Purtroppo questa carestia non sparirà nei prossimi mesi. Con l’aiuto della FAO abbiamo calcolato che ci vorranno due cicli completi di stagioni della pioggia, e quindi di semina e raccolta dei terreni, per ristabilire il mercato agricolo interno della Somalia e riportare i prezzi a d un livello accettabile perché almeno la metà della popolazione possa avere accesso al cibo’. All’indomani della colletta della Chiesa italiana per le popolazioni del Corno d’Africa, colpite da siccità e carestia, Bruno Geddo, Rappresentante per la Somalia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), spiega ai microfoni della Radio Vaticana la gravità della situazione in quella zona del continente africano. ‘Questo significa che dobbiamo sostenere uno sforzo eccezionale fino al settembre 2012 e contiamo molto sulla generosità e su iniziative come quella della Chiesa cattolica italiana, perché dovremmo sostenere questo sforzo intensissimo non per tre o sei mesi ma per almeno 14 mesi’. Come operatore dell’UNHCR – aggiunge - voglio ringraziare la Chiesa italiana per la colletta in favore del Corno d’Africa di domenica 18 settembre. E’ un’iniziativa di grande generosità, una cosa bellissima che mi ha molto commosso e sono sicuro che abbia avuto molto successo’.
‘Per dichiarare un Paese in situazione di carestia bisogna che almeno il 30% della popolazione sia in stato di malnutrizione acuta. A Mogadiscio, a luglio avevamo un tasso globale di malnutrizione acuta del 40% e ad agosto era salito al 45,6%. Bisogna poi che ci sia un tasso di mortalità tra gli adulti di 2 morti su 10.000 al giorno. A Mogadiscio a luglio avevamo un tasso del 4,29 e ad agosto del 5,68. La mortalità infantile, affinché sia dichiarato lo stato di carestia, deve raggiungere una media di 4 decessi al giorno ogni diecimila bambini sotto i cinque anni. A luglio avevamo il 14,9 e ad agosto il 15, 43. Sono tre statistiche che restituiscono la gravità della situazione in Somalia a causa della siccità e della carestia che sta colpendo il Corno d’Africa’.
‘Quando ero tra i profughi nei campi di Dolo, in Etiopia – racconta l’operatore dell’UNHCR - ho incontrato una coppia di genitori anziani che aveva lasciato i figli in Somalia a Berbere. Erano dovuti fuggire di notte per scampare ai controlli degli Shabab e avevano camminato per circa dieci giorni per arrivare al confine con l’Etiopia. Senza contare quello che ho visto nell’ospedale di Benadir a Mogadiscio, dove davanti ai miei occhi ho visto morire bambini per la diarrea acuta. Sono scene drammatiche che ci toccano in profondità e ci danno un sentimento di impotenza e tristezza’.
‘Attualmente alcuni degli sfollati della Somalia che arrivano alla frontiera con l’Etiopia si rendono conto che non gli conviene attraversare il confine. Ed è per questo che abbiamo avuto una riduzione del flusso da duemila persone al giorno – il picco registrato a giugno – alle duecento attuali. Gli sfollati sanno infatti che la stagione delle piogge comincerà tra un mese e restando in Somalia potranno più facilmente tornare a coltivare i loro campi. Per questo, in collaborazione con la FAO, stiamo intervenendo distribuendo agli sfollati che si trovano in quell’area dei pacchetti di emergenza agricola per incoraggiarli a tornare a coltivare i loro campi a partire da ottobre’.
‘Nel frattempo però l’afflusso verso il Kenya sta continuando a un livello che consideriamo inaccettabile’ spiega Geddo. ‘Arrivano oggi dalla Somalia circa mille persone al giorno. Il picco si è raggiunto alla fine di giugno con 1.500 arrivi quotidiani. Mille persone al giorno per tre mesi fanno novantamila persone e la capacità dei campi dell’ONU di Dadaab in Kenya, compresi i nuovi settori appena aperti, è di 540mila. A oggi ce ne sono già 440mila e questo significa che se non riusciamo a far diminuire il flusso dalla Somalia entro gennaio, per allora la capacità del campo sarà esaurita e ci troveremmo ad affrontare un grosso guaio’.
‘In questo contesto noi perseguiamo la nostra strategia abituale: fare il massimo in Somalia perché la gente non si senta obbligata ad attraversare la frontiera’ aggiunge. ‘Perciò stiamo intervenendo con le altre agenzie nei settori cibo, nutrizione, vaccinazione e naturalmente con i nostri pacchetti di emergenza e di riparo di emergenza. Noi speriamo che nel quarto trimestre di quest’anno questo afflusso di popolazione possa diminuire, grazie a questa inserzione massiccia di assistenza’.
‘Inoltre stiamo recensendo uno alla volta i 180 accampamenti di fortuna nella capitale somala Mogadiscio. E’ un lavoro molto meticoloso e complesso perché in Somalia gli sfollati si stabiliscono spontaneamente in luoghi dove possono affittare la terra e avere accesso a un minimo di servizi. Il satellite ha recensito addirittura 240 di questi campi spontanei. Ora li stiamo recensendo per fare una lista delle principali carenze e per nominare un’agenzia come punto di riferimento per uno o più di questi siti affinché possa intervenire in modo mirato’. ‘E’ molto importante mantenere queste riunioni spontanee, perché se i campi dovessero essere raggruppati in pochi campi più vasti, i problemi che noi abbiamo ogni giorno per assisterli e dare loro sicurezza verrebbero moltiplicati per mille’. ‘In Somalia infatti la questione della distribuzione dell’assistenza è molto complessa. Tocca interessi vari, di religione, di clan e altro, che spesso ci creano molte difficoltà e ci impediscono di raggiungere i destinatari’.
‘A Mogadiscio la situazione della sicurezza resta un grosso punto interrogativo’ aggiunge il rappresentate dell’UNHCR. ‘In confronto alla situazione del mese di luglio, quando ogni distribuzione di viveri provocava saccheggi e disordini pubblici vari , con morti e feriti, il Governo locale e l’ONU ora hanno preso delle contromisure’. ‘In questo momento stiamo cercando di convincere il Governo somalo di darci la possibilità di distribuire gli aiuti con la scorta, la protezione, della polizia civile’. ‘Il problema è che a causa del vuoto di potere che si è creato quando le milizie Shabab hanno lasciato Mogadiscio c’è il rischio che ritornino i cosiddetti ‘Signori della Guerra’ e si ricrei la situazione del periodo prima del 2007 quando erano loro a decidere chi riceveva l’assistenza e chi no’. ‘Se riusciamo ad usare la polizia civile del Governo, che è stata addestrata e i cui stipendi sono pagati dalle Nazioni Unite, potremmo appoggiare l’agenda nazionale del Governo ed opporci allo strapotere dei clan’.
‘Con l’avvicinarsi dell’inverno noi dell’ONU abbiamo inoltre deciso di includere il ‘riparo di emergenza’ tra le misure di ‘life-saving’ degli sfollati. Nella notte, infatti, la temperatura scende e se il riparo in cui vivono gli sfollati non è adeguato c’è il rischio di bronchiti, polmoniti e tubercolosi’. ‘Avremmo perciò la possibilità di accedere a fondi addizionali per reperire dei ‘ripari di emergenza’, che sono poi teli di plastica molto robusti, di 7 metri per 4, che permettono agli sfollati e ai profughi di avvolgere completamente il loro riparo somalo tradizionale, fatto di stracci e cartone, e mantenere una temperatura adatta a evitare malattie’.











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