‘Purtroppo questa
carestia non sparirà nei prossimi mesi. Con l’aiuto della FAO abbiamo calcolato che
ci vorranno due cicli completi di stagioni della pioggia, e quindi di semina e raccolta
dei terreni, per ristabilire il mercato agricolo interno della Somalia e riportare
i prezzi a d un livello accettabile perché almeno la metà della popolazione possa
avere accesso al cibo’. All’indomani della colletta della Chiesa italiana per le
popolazioni del Corno d’Africa, colpite da siccità e carestia, Bruno Geddo, Rappresentante
per la Somalia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR),
spiega ai microfoni della Radio Vaticana la gravità della situazione in quella zona
del continente africano. ‘Questo significa che dobbiamo sostenere uno sforzo eccezionale
fino al settembre 2012 e contiamo molto sulla generosità e su iniziative come quella
della Chiesa cattolica italiana, perché dovremmo sostenere questo sforzo intensissimo
non per tre o sei mesi ma per almeno 14 mesi’. Come operatore dell’UNHCR – aggiunge
- voglio ringraziare la Chiesa italiana per la colletta in favore del Corno d’Africa
di domenica 18 settembre. E’ un’iniziativa di grande generosità, una cosa bellissima
che mi ha molto commosso e sono sicuro che abbia avuto molto successo’. ‘Per
dichiarare un Paese in situazione di carestia bisogna che almeno il 30% della popolazione
sia in stato di malnutrizione acuta. A Mogadiscio, a luglio avevamo un tasso globale
di malnutrizione acuta del 40% e ad agosto era salito al 45,6%. Bisogna poi che ci
sia un tasso di mortalità tra gli adulti di 2 morti su 10.000 al giorno. A Mogadiscio
a luglio avevamo un tasso del 4,29 e ad agosto del 5,68. La mortalità infantile, affinché
sia dichiarato lo stato di carestia, deve raggiungere una media di 4 decessi al giorno
ogni diecimila bambini sotto i cinque anni. A luglio avevamo il 14,9 e ad agosto il
15, 43. Sono tre statistiche che restituiscono la gravità della situazione in Somalia
a causa della siccità e della carestia che sta colpendo il Corno d’Africa’. ‘Quando
ero tra i profughi nei campi di Dolo, in Etiopia – racconta l’operatore dell’UNHCR
- ho incontrato una coppia di genitori anziani che aveva lasciato i figli in Somalia
a Berbere. Erano dovuti fuggire di notte per scampare ai controlli degli Shabab e
avevano camminato per circa dieci giorni per arrivare al confine con l’Etiopia. Senza
contare quello che ho visto nell’ospedale di Benadir a Mogadiscio, dove davanti ai
miei occhi ho visto morire bambini per la diarrea acuta. Sono scene drammatiche che
ci toccano in profondità e ci danno un sentimento di impotenza e tristezza’. ‘Attualmente
alcuni degli sfollati della Somalia che arrivano alla frontiera con l’Etiopia si rendono
conto che non gli conviene attraversare il confine. Ed è per questo che abbiamo avuto
una riduzione del flusso da duemila persone al giorno – il picco registrato a giugno
– alle duecento attuali. Gli sfollati sanno infatti che la stagione delle piogge
comincerà tra un mese e restando in Somalia potranno più facilmente tornare a coltivare
i loro campi. Per questo, in collaborazione con la FAO, stiamo intervenendo distribuendo
agli sfollati che si trovano in quell’area dei pacchetti di emergenza agricola per
incoraggiarli a tornare a coltivare i loro campi a partire da ottobre’. ‘Nel
frattempo però l’afflusso verso il Kenya sta continuando a un livello che consideriamo
inaccettabile’ spiega Geddo. ‘Arrivano oggi dalla Somalia circa mille persone al giorno.
Il picco si è raggiunto alla fine di giugno con 1.500 arrivi quotidiani. Mille persone
al giorno per tre mesi fanno novantamila persone e la capacità dei campi dell’ONU
di Dadaab in Kenya, compresi i nuovi settori appena aperti, è di 540mila. A oggi ce
ne sono già 440mila e questo significa che se non riusciamo a far diminuire il flusso
dalla Somalia entro gennaio, per allora la capacità del campo sarà esaurita e ci troveremmo
ad affrontare un grosso guaio’. ‘In questo contesto noi perseguiamo la nostra
strategia abituale: fare il massimo in Somalia perché la gente non si senta obbligata
ad attraversare la frontiera’ aggiunge. ‘Perciò stiamo intervenendo con le altre agenzie
nei settori cibo, nutrizione, vaccinazione e naturalmente con i nostri pacchetti di
emergenza e di riparo di emergenza. Noi speriamo che nel quarto trimestre di quest’anno
questo afflusso di popolazione possa diminuire, grazie a questa inserzione massiccia
di assistenza’. ‘Inoltre stiamo recensendo uno alla volta i 180 accampamenti di
fortuna nella capitale somala Mogadiscio. E’ un lavoro molto meticoloso e complesso
perché in Somalia gli sfollati si stabiliscono spontaneamente in luoghi dove possono
affittare la terra e avere accesso a un minimo di servizi. Il satellite ha recensito
addirittura 240 di questi campi spontanei. Ora li stiamo recensendo per fare una lista
delle principali carenze e per nominare un’agenzia come punto di riferimento per uno
o più di questi siti affinché possa intervenire in modo mirato’. ‘E’ molto importante
mantenere queste riunioni spontanee, perché se i campi dovessero essere raggruppati
in pochi campi più vasti, i problemi che noi abbiamo ogni giorno per assisterli e
dare loro sicurezza verrebbero moltiplicati per mille’. ‘In Somalia infatti la questione
della distribuzione dell’assistenza è molto complessa. Tocca interessi vari, di religione,
di clan e altro, che spesso ci creano molte difficoltà e ci impediscono di raggiungere
i destinatari’. ‘A Mogadiscio la situazione della sicurezza resta un grosso punto
interrogativo’ aggiunge il rappresentate dell’UNHCR. ‘In confronto alla situazione
del mese di luglio, quando ogni distribuzione di viveri provocava saccheggi e disordini
pubblici vari , con morti e feriti, il Governo locale e l’ONU ora hanno preso delle
contromisure’. ‘In questo momento stiamo cercando di convincere il Governo somalo
di darci la possibilità di distribuire gli aiuti con la scorta, la protezione, della
polizia civile’. ‘Il problema è che a causa del vuoto di potere che si è creato quando
le milizie Shabab hanno lasciato Mogadiscio c’è il rischio che ritornino i cosiddetti
‘Signori della Guerra’ e si ricrei la situazione del periodo prima del 2007 quando
erano loro a decidere chi riceveva l’assistenza e chi no’. ‘Se riusciamo ad usare
la polizia civile del Governo, che è stata addestrata e i cui stipendi sono pagati
dalle Nazioni Unite, potremmo appoggiare l’agenda nazionale del Governo ed opporci
allo strapotere dei clan’. ‘Con l’avvicinarsi dell’inverno noi dell’ONU abbiamo
inoltre deciso di includere il ‘riparo di emergenza’ tra le misure di ‘life-saving’
degli sfollati. Nella notte, infatti, la temperatura scende e se il riparo in cui
vivono gli sfollati non è adeguato c’è il rischio di bronchiti, polmoniti e tubercolosi’.
‘Avremmo perciò la possibilità di accedere a fondi addizionali per reperire dei ‘ripari
di emergenza’, che sono poi teli di plastica molto robusti, di 7 metri per 4, che
permettono agli sfollati e ai profughi di avvolgere completamente il loro riparo somalo
tradizionale, fatto di stracci e cartone, e mantenere una temperatura adatta a evitare
malattie’.